AFI

AFI (The Blood Album)

2017 (Concord)
alt-rock, punk-pop, goth-rock

Gli AFI sono un celebre gruppo punk-rock formatosi nel 1991, che ha visto il suo momento di maggior successo all'inizio degli anni 2000, con i due album "The Art Of Drowning" e soprattutto il debutto su major "Sing The Sorrow", grazie anche all'inserimento del creativo chitarrista Jade Puget in formazione nel 1998. Con questi album, gli AFI hanno portato a sviluppo completo una personale formula di post-hardcore melodico arricchito da forti tinte darkwave, emocore, horror-punk, deathrock e alternative-metal. Tra Misfits e Danzig, Bauhaus, Offspring, Cure, Bad ReligionPlaceboSmiths e persino David BowieMinistry. La formula da loro coniata colpì grazie a chitarre trascinanti che sapevano suonare melodiche e aggressive assieme, memorabili ritornelli antemici anni 80, un approccio lirico man mano più introspettivo, una certa cura per le atmosfere e una produzione sonora figlia del rock alternativo. Qualche critico li definì gothic-punk, ma il gruppo non ha mai accettato questa etichetta.
Negli album successivi, però, gli americani hanno sviluppato ulteriormente il loro stile in direzioni emo e pop, non riscontrando altrettanto successo di critica e di pubblico, con diversi album dai risultati discontinui e discutibili.

Per l'inizio del 2017 viene rilasciato il nuovo album omonimo, ma immediatamente noto come "The Blood Album" a stampa e pubblico per via della sua copertina. Decimo disco in studio per la simbolica stellina sullo scudetto, questo "Blood Album" adotta un approccio riepilogativo, ripercorrendo anche i lontani primi album con l'intento di riprenderne alcuni elementi (la grinta tra punk-rock e hardcore melodico, le prime influenze goth-rock derivanti dall'horror-punk) che vengono miscelati al discorso intrapreso con gli ultimi dischi. In pratica una strizzatina d'occhio ai fan originali del gruppo, senza perdere di vista quelli più recenti.
Purtroppo, forse proprio per via della sintesi, non vengono rievocate del tutto le qualità che quei dischi, pur ancora molto acerbi, mostravano: cioè la potenza capace anche di forte emozionalità, l'energia viscerale e genuina. Più che a esaltare la melodia più mainstream degli ultimi tempi con l'energia degli esordi, la band sembra invece dedita a stemperare l'energia con l'accessibilità al grande pubblico. Ciò non è per forza un male, difatti nei suoi momenti migliori l'album si mostra davvero orecchiabile e può spingere i fan degli ultimi tempi ad approfondire la discografia del gruppo. Ma altrove l'album suona prevedibile e ripetitivo. E non sempre i bassi che rievocano la darkwave o il palm-muting delle chitarre risultano particolarmente ispirati o curati nel songwriting, anzi, a volte sembrano più artificiosi, generici, blandi, e i picchi di melodramma di metà carriera restano un traguardo lontano.

A volte il contrasto emerge anche all'interno di singoli brani, come già nell'opener "Dark Snow", che sembra un tentativo fuori tempo massimo di riprendere le sonorità dell'epoca post-punk. Oppure "Snow Cats", col suo breve piacevole assolo che svetta tra riff e testo banali, mentre "She Speaks The Language", nella sua epicità dolceamara, viene seguita da una conclusiva "The Wind That Carries Me Away" che suona più pomposa.
I pezzi più punkeggianti del lotto, come "Dumb Kids", "Pink Eyes", col suo ritornello catchy, oppure "So Beneath You", strizzano fortemente l'occhio alla produzione anni 90 del gruppo e intrigano col loro ardore, ma alle sfuriate hardcore e all'immaginario romantico viene aggiunta una vena più pop meno convincente, fino a toccare il punk-pop più banale con "Get Hurt".
Un po' più compatti e tutto sommato robusti sono invece i brani che citano il gothic-rock, come "Above The Bridge" e "Feed From The Floor", ma mancano di originalità.
Il cantante Davey Havok si conferma, al solito, capace di suscitare forte emotività, ma i testi non sono sempre all'altezza del pathos che cerca di esprimere.

In conclusione, "The Blood Album" ha il pregio di mettere un po' di ingredienti a cuocere, o di aprire diverse porte, come si suol dire, ma ha il difetto che cerca di accontentare i fan di tutti i periodi del gruppo in maniera poco coesa e auto-indulgente, senza chiudere le sopracitate porte. Un lavoro che non mostra la maturità che ci si aspetterebbe da una formazione con oltre 20 anni di carriera alle spalle, e non ne reinventa lo stile trovando il giusto equilibrio tra presente e passato. È anche un lavoro che non fa dimenticare, come in molti speravano, le prove non sempre convincenti degli ultimi album.
La sua immediatezza potrà soddisfare parte del pubblico e si spera ispirare al recupero del resto della discografia, ma deluderà anche molti, soprattutto i fan della prima ora che non lo riterranno un vero "ritorno alle origini".

12/02/2017

Tracklist

  1. Dark Snow
  2. Still A Stranger
  3. Aurelia
  4. Hidden Knives
  5. Get Hurt
  6. Above The Bridge
  7. So Beneath You
  8. Snow Cats
  9. Dumb Kids
  10. Pink Eyes
  11. Feed From The Floor
  12. White Offerings
  13. She Speaks The Language
  14. The Wind That Carries Me Away