L'essenza più pura del romanticismo è da sempre racchiusa in parole come spiritualità, passione, impulsività, abbandono. Stati d'animo che Dan Bejar fa affiorare senza timore nel suo variopinto pop d'autore, esternandoli a volte con genuina linearità, a volte con imprevedibili virtuosismi lirici.
Istrionico, sentimentale, sognante, visionario, il mélange pop dei canadesi Destroyer è da oltre vent'anni oggetto di vivaci diatribe, spesso fuorviate da quel tono vocale volontariamente distaccato e svogliato di un leader sempre pronto a modificare toni, timbri e colori delle sue creazioni.
"Ken" è l'ennesimo tassello di un percorso artistico a ostacoli, tra album dall'indiscutibile fascino ("Destroyer's Rubies") e pagine incerte, vittime di una dicotomia lessicale ("Kaputt"). Un altro passo in avanti verso quella silente sinergia tra la forza della parola e la fragilità della musica, che ha infine radicato la credibilità artistica della band presso un seguito nutrito di fan, pronti a perdonarne alcune leggere defaillance.
Le premesse sono interessanti, perché il nuovo album dei Destroyer rinuncia agli abbellimenti degli archi e ai fiati in stile soul-jazz del precedente progetto, tutto ciò a favore di asciutte e minacciose trame elettroniche che rimettono in gioco le cupe asperità e le contagiose armonie pop di gruppi come i New Order o i Prefab Sprout di "Swoon". Il gioco delle citazioni e dei richiami non è una novità per Dan Bejar, ma questa volta è tutto leggermente più impertinente e indisciplinato, ferma restando la delicata seduzione nostalgica proveniente dalle assonanze vocali e armoniche che dominano molte pagine di "Ken".
Spogliate di quell'aura più classicista che ha donato a "Poison Season" il titolo di album della restaurazione creativa per i Destroyer, le canzoni scorrono con maggior naturalezza e incisività, spostando l'orologio dai 70 agli 80. C'è la stessa forza armonica dei Prefab Sprout di "When Love Breaks Down" in "Sky's Grey", o lo stesso gusto folk-pop dei Dream Academy nel delizioso refrain di "Sometimes In The World", mentre in "Tinseltown Swimming In Blood" tornano a pulsare le cupe trame dance dei New Order di "Blue Monday".
In questa carrellata di citazioni, che risulterà forse irritante per i detrattori di Bejar, si inserisce una leggera teatralità che alleggerisce la tensione, facendo fluire glam, pop, dark ed elettronica tra situazionismi sonori alla Cure ("In The Morning", "Ivory Coast") e inaspettate ballate folk-psych, che potrebbero uscire benissimo da un disco di Robyn Hitchcock ("Saw You At The Hospital") o Momus ("A Light Travels Down The Catwalk").
Ancora una volta, tra i bagliori del suono delle chitarre e i chiaroscuri dell'elettronica, si rinnova quell'amabile sinergia che da sempre fa da sottofondo a creazioni liriche dal diverso lignaggio, e tra festose trame glam-pop ("Cover From The Sun") e ambiziose trame noir ("Rome"), si perfeziona uno dei più interessanti quadri sonori mai espressi dalla band canadese.
A dispetto delle perplessità espresse da due delle testate cartacee più in auge in Gran Bretagna, "Ken" è destinato a tenere alto il profilo dei Destroyer, segnalandosi già da ora come uno dei vertici della carriera del gruppo di Dan Bejar.
02/11/2017