Talmente rigorosi da risultare stucchevoli. Con quell'aria da primi della classe, da "vecchi dentro" che verrebbe quasi voglia di dar loro una strigliata, di scuoterli un po'. A maggior ragione ora che, a quattro anni dal fortunato debutto, i London Grammar decidono di tornare sulle scene con un album che rinuncia a gran parte di quelle sonorità mutuate dal trip-hop e che il pubblico aveva accolto come una romantica risposta agli XX. Di quel sound si ritrova traccia soprattutto nel drumming spedito di "Bones Of Ribbon" e nella notevole ed elegante "Non Believer", collocate nel cuore della scaletta per donare maggior dinamicità a un disco formalmente ineccepibile ma fin troppo ingessato nel risultato.
Tra i nomi scelti per produrre "Truth Is A Beautiful Thing" spicca soprattutto quello dell'acclamato Paul Epworth (ormai onnipresente nelle principali uscite discografiche britanniche) che realizza per loro un vestito sonoro talmente classico e cinematografico (sul modello dell'ormai celebre "Wasting My Young Years") da dare spesso l'impressione che il fine ultimo del trio londinese possa essere quello di sostituirsi a Lisa Gerrard quale ideale accompagnamento per le scene finali di melodrammoni hollywoodiani ("Rooting For You", la title track o metà dei brani qui presenti).
Le interpretazioni della bella Hannah Reid, corroborate da un tale scenario, più vicino agli ampi spazi americani che alle uggiose giornate in terra d'Albione, acquisiscono se possibile ancor più solennità e maggiore enfasi, anche in quei momenti che avrebbero necessitato un approccio più leggero per spiccare a dovere ("Everyone Else" e "Oh Woman Oh Man"). La sua voce rimane tuttavia tra le più vibranti e interessanti della sua generazione e quando si adagia sulla giusta melodia è impossibile resistere al suo fascino. Succede durante il malinconico crescendo della suggestiva "Hell To The Liars", tra i sinuosi solchi di "Leave The War With Me" o quando i tre provano inaspettatamente a raccogliere i frutti dell'albero di Joshua ("Big Picture").
Così giovani e bravi eppure così poco avventurosi e subito appagati. Forse lo saranno meno quegli ammiratori che avevano avvertito in loro un nostalgico barlume bristoliano ma potrebbero rimanere soddisfatti tutti coloro che avevano invece affiancato il vocione della Reid a quelli di Adele e Florence Welch. La verità è che "Truth Is A Beautiful Thing" non sarà forse bellissimo ma se ne apprezzano comunque il sentimento e le suggestioni. Rimarrà probabilmente uno di quei secondi album all'ombra di un debutto ingombrante in attesa di una prova definitiva che sciolga ogni dubbio. Anche ai primi della classe ogni tanto non va permesso di cullarsi troppo sugli allori.
29/06/2017