C'è sempre stata un'ovvia simbiosi fra Pond e Tame Impala, che pare persino rafforzata dal trascorrere del tempo, confermandosi fra le pieghe di "The Weather", il settimo lavoro in studio della compagine australiana.
Più di qualsiasi frase, è eloquente l'ascolto delle tracce n° 2 e 3, vale a dire "Sweep Me Off My Feet" e - soprattutto - "Paint Me Silver", due brani in perfetta sintonia con la svolta "electro disco-soul" del recente "Currents", non esattamente il capolavoro della band di Kevin Parker, il quale con tutta probabilità qui, oltre a curare gli aspetti legati alla produzione, provvede a mettere a fattor comune più di qualche ideuzza.
Poi, come di consueto, il collettivo Pond si differenzia dai Tame Impala per una maggiore eterogeneità della proposta: dentro "The Weather" è possibile individuare senza troppa fatica agganci possibili tanto con i Flaming Lips più hippy, in "Edge Of The World, Pt. 1", quanto con il Bowie epoca-Ziggy Stardust, nell'avventura cosmica riassunta dalla post-apocalittica "30000 Megatons" (con tanto di testo anti-Trump).
L'inizialmente atmosferica "Edge Of The World, Pt. 2" (ma anche in questo caso a metà del cammino avvengono evoluzioni piacevolmente imprevedibili) e la conclusiva egregia title track forniscono ulteriori divagazioni sul tema, per un progetto che ha sempre fatto della complessità (e della varietà) degli spunti la propria cifra stilistica.
Non mancano ispirate virate verso il pop (pop sempre obliquo, concepito alla maniera del coraggioso Nicholas Allbrook che continua a guidare la simpatica baracca), come dimostra quella genialata in technicolor intitolata "All I Want For Xmas (Is A Tascam 388)", altra evidente tameimpalata.
Ma a conti fatti "The Weather" è un disco altalenante, che riserva parentesi tremendamente anni 80 (e parliamo dei peggiori anni 80) in corrispondenza dell'irritante "Colder Than Ice", chiusa inspiegabilmente anzitempo proprio mentre le cose si stavano rimettendo a posto grazie al provvidenziale intervento del sax (che ritornerà più avanti per cercare di ravvivare la trascurabile "Zen Automaton").
Il precedente "Man It Feels Like Space Again" ci aveva convinti e saziati di più: questa volta gli australiani, pur realizzando come al solito un album godibilissimo, in grado di non privarci dei miracoli di imprevedibilità confermati soprattutto dalla presenza di "A/B", non riescono a slanciarsi oltre una sensazione che si ferma a cavallo fra il già sentito e il rammarico per quel che poteva essere ma non è stato. Mostrandosi non in grado, neppure lontanamente, di insidiare la meravigliosa sintesi nu-psych prodotta dal brand dei cuginetti di Perth.
11/05/2017