Già da tempo la nostra forse più grande popstar internazionale in campo indipendente, Mauro Remiddi conferma vieppiù il suo status con “Microclimate”, vero prodotto di alta fascia, che annovera l’importante collaborazione di Chris Coady alla produzione (Grizzly Bear, Beach House).
Un bel sound pieno, una costante sferzata di synth chitarrosi e di tracce vocali multiple, con riverberi e atmosfere che parlano con l’incubo Disney-ano di “Deserter’s Songs” (“Kookaburra”, la migliore del disco) quanto con una più accattivante strizzata d’occhio alla retrowave (“Distant Shore”). Con ovviamente momenti di laica sacralità dream-pop in orbita Beach House (“The Poets Were Right”, “Bring Me To The River”) e più bizzarri strascichi britpop (i Suede di “Big Sur” e “Accelerating Curve”).
La scrittura tende a privilegiare un melodismo tendente all’imbolsito da hit parade anni Ottanta (“Rolling Over”, “A Fever That I Know”, “The Greatest View”), con una generale, cronica mancanza di profondità e longevità che lascia risaltare, in fondo, soprattutto quella che a suo modo è una “perfezione” formale della proposta.
“Microclimate” si rivela presto privo di sbocchi, perché privo di ambizione, se non quella (già ragguardevole, oggi) di appartenere a un circolo privilegiato di musicisti. In questo “Microclimate” riesce con merito, ma non va oltre.
13/02/2017