Quanti narratori dell'oscurità hanno fatto compagnia ai nostri incubi, quanti musicisti sono entrati nei meandri del blues e del folk per estrarne racconti dal fascino a volte ambiguo e maledetto.
In questo immaginario tragitto artistico che va da Nick Cave ai Tindersticks, passando per PJ Harvey e Sparklehorse, ecco ora apparire un nuovo gruppo di poeti delle sette note, pronti a cimentarsi con il fascino arcano del viaggio verso l'ignoto.
La destinazione di questo cammino si chiama Valparaiso: mitico approdo per marinai e viaggiatori, situato sulle coste del Cile. Ed è questo il nome scelto dai due ex-componenti dei Jack The Ripper, Herve e Thierry Mazurel, per il loro nuovo gruppo. A loro si accoda una ciurma di ottimi musicisti (Matthieu Texier, Thomas Belhorn e Adrien Rodrigue) e un'intrigante lista di ospiti d'eccezione.
Con il timone nelle mani di John Parish, i Valparaiso si avventurano tra ricordi e rimpianti, affogando nell'alcol e nella contemplazione dell'oscurità l'eterna sofferenza dell'anima, regalandoci una serie di canzoni che profumano di salsedine e polvere.
Le sonorità di "Broken Homeland", più che rimandare ai Jack The Ripper, ripercorrono gli stessi sentieri del progetto The Fitzcarraldo Session, dove i francesi coinvolsero musicisti del calibro di Stuart Staples, Joey Burns, Blaine Reininger e Graig Walker.
L'album è un crocevia nel quale varie culture si intersecano, la musica è un raffinato tessuto armonico, intrecciato con note di blues, folk e jazz, che i cinque francesi offrono alle intuizioni liriche di una serie di artisti dal diverso curriculum stilistico. Questi ultimi, pur avendo a loro volta già raccontato gli stessi luoghi solitari con identica fragilità e pathos, abbracciano questo viaggio con la stessa genuinità della prima volta.
Ogni canzone è un piccolo racconto, una fotografia, a volte intellegibile e piacevolmente attigua al cantautorato dark-folk ("Dear Darkness", "Blown By The Wind"). Spesso i brani sono marchiati a fuoco dall'ospite di turno, come nella gotica ed epica ballata rock "Bury My Body" condivisa con una Shannon Wright in gran forma, o nella trascinante "The Allure Of Della Rae", dove Howe Gelb frantuma leggermente il tono più mistico dell'album con un corrosivo insieme di basso, chitarra e batteria.
Tra le voci, quella di Phoebe Killdeer (Nouvelle Vague) è una delle più incisive: ad essa tocca infine sottolineare gli episodi più intensi del progetto, a partire dall'ipnotico noise-blues alla Tindersticks che introduce l'album ("Rising Tides", cantata a due voci con Howe Gelb), passando per le atmosfere romantiche e quasi chamber-folk della title track, fino all'intensa e scarna "Wild Birds".
Non è altresì facile resistere alle magiche e sensuali atmosfere di "Le Septiéme Jour", che Julia Lanoë tratteggia con toni apocalittici alla maniera di novella Nico con tanto di organo ed echi noir, o ai raffinati tempi dispari, quasi jazz, dell'ineffabile Josh Haden, modellatore della malinconicamente inebriante "Constellations".
Il primo progetto dei Valparaiso è un album fortemente ispirato, capace di ammaliare come i Portishead nel recitato-cantato di "Fireplace", o di rinnovare antichi ardori jazz-folk nella sofisticata e sognante "Valparaiso", inabissandosi infine nel labirinto lirico più periglioso e intrigante ("The River"), che Shannon Wright e John Parish intonano con funebre passione e un penetrante senso di tenebroso mistero.
Non è un disco ordinario o prevedibile, "Broken Homeland", bensì un progetto avventuroso che mette a frutto un intenso impegno collettivo, dove ogni ombra e ogni spiraglio di luce ha il potere di catturare l'immaginazione dell'ascoltatore. Un'affascinante sorpresa.
18/10/2017