Baloji - 137 Avenue Kaniama

2018 (Bella Union)
hip hop, art pop, soukous

Baloji è un rapper belga di origine congolese, che torna a pubblicare a tre anni da suo ultimo Ep, e a ben otto dal precedente album, “Kinshasa succursale”. 
Questa nuova opera la pubblica curiosamente per l’etichetta indipendente britannica Bella Union, nonostante non canti mai in inglese e il suo mercato di riferimento rimanga sostanzialmente quello francofono. 

Come già i suoi altri lavori, anche “137 Avenue Kaniama” porta riflesso il vissuto dell’artista, non dei più semplici: la separazione dalla madre e dal paese d’origine quando era ancora un bimbo, la vita in Belgio fra rapporti non idilliaci col padre, discriminazione, e piccola criminalità. È ormai passato molto tempo da quegli avvenimenti turbolenti e l’artista è pure tornato in contatto con la madre, che non aveva più visto per circa venticinque anni, ma le cicatrici non possono evidentemente essere cancellate. Né c’è la volontà di cancellarle. 
A questo giro, Baloji fa le cose in grande come non mai, mettendo in piedi una scaletta di quattordici brani, per la modica durata di settantanove minuti. Cura tutto di persona, producendo e scrivendo ogni brano. I testi sono flussi di coscienza in francese, con inserti in lingala (lingua bantu parlata in Congo), e trattano di solidarietà e fratellanza, ma anche di amore (su più livelli, fino alla descrizione di un amplesso), oltre che degli ovvi vortici emotivi che l’artista si porta dentro riguardo alla vicenda dei genitori o alla situazione sociale che ha incontrato in Belgio (per quanto tecnicamente Baloji non sia un immigrato, essendo suo padre belga – ma i sentimenti non sempre rispondono a ciò che dicono le mere carte).
 
Dal punto di vista dell’ascoltatore italiano, lo scetticismo sarà il solito in questi casi: quanto senso possa avere ascoltare un disco rap in un idioma che non si comprende. Se il gap sta ormai venendo ridotto con l’inglese (anche chi non fosse fluente, può sempre rimediare facilmente le traduzioni), con altre lingue il problema è più considerevole. Entra lì in gioco quanto impegno ha intenzione di mettere l’interessato nella ricerca delle traduzioni oppure, più cinicamente, quanto sia disposto a prendere il poco che arriva – dato che più o meno per sapere gli argomenti del disco basta leggere qualche recensione – e farselo bastare, a patto che i brani siano musicalmente ricchi. Cosa che nello specifico avviene, trattandosi di uno di quei dischi in cui l’artista ricorre sì alla tecnica vocale del rap, ma ascoltandone le basi strumentali si penserebbe a tutto tranne che all’hip hop.
 
Uno degli elementi principali dell’album è il soukous, la tipica rumba congolese che ebbe origine dalla musica caraibica, e che ha subito numerose mutazioni nel corso del Novecento, prima fra tutte l’introduzione di quella chitarra elettrica squillante e ballabile che ha finito per diventarne l’elemento più riconoscibile all’orecchio occidentale. Baloji sembra volerne proseguire l’evoluzione sposandolo alla produzione elettronica. Non è certo il primo a farlo, dato che si tratta di un’usanza ormai diffusa: è però fra i primi, anche in ambito di riscontri, capaci di applicare computer e sintetizzatori al soukous, mirando alla creazione di una musica raffinata, che ricerchi l’elevazione artistica tipica dell’Europa più colta. Ha insomma reso “snob” il soukous, direbbero i maligni. Oppure lo ha saputo vedere dal punto di vista europeo, creando una commistione intercontinentale. Baloji non è il depositario della purezza del soukous (che in alcuni suoi dischi passati non compariva neanche, e che in effetti non compare neanche in diversi brani di questo), ma è senza dubbio una mente frutto dell’integrazione di più culture.
Il soukous, più o meno manipolato dall’elettronica, è così alla base della prima parte del disco, con le varie “Glossine (Zombie)”, “L'hiver indien - Ghetto Mirador”, “Bipolaire - Les Noirs”. 

A metà della scaletta le sonorità si dipanano nelle direzioni più svariate: è la volta del piccolo inno house rap “Spotlight”, di “Ciel d’encre” (lento r&b retro-futuristico, con sintetizzatori lounge, archi e battiti ovattati), del singolo “Soleil de volt” (marziano funk dalla struttura ondivaga, con l’arrangiamento che oscilla da elettrico a elettronico e interventi corali esuberanti, è in sostanza una manipolazione del classico afro-funk “Dooyo”, della somala Dur-Dur Band).
I piatti più forti arrivano però nella seconda metà, e sono tre brani che da soli occupano più di mezz’ora. Al primo di questi, “Peau de chagrin - Bleu de nuit”, è anche stato dedicato un bel video diretto dallo stesso Baloji. È un pezzo in cui i confini di stile si sfaldano completamente, inutile provare a parlare di art pop, trip hop, afrobeat, rumba o quant’altro, non rimane seguire il flusso di contrabbasso jazzato, chitarre ipnotiche, percussioni, hand clapping, tastiere rarefatte, atmosfere suadenti e noir, voci effettate e sovrapposte (quella di Bajoli e quella, dolcissima, del misconosciuto Klody Ndongala, anch’egli belga e congolese, per quanto appartenente alla generazione antecedente a quella di Baloji).
Tinte oscure e jazzate anche nei primi quattro minuti di “La dernière pluie - Inconnu à cette adresse”, poi un delirio recitato su percussioni metalliche e dissonanti, con finale industrial onomatopeico. Forse anche troppo spiazzante, ma sicuramente audace. 
“Tanganyika” pone termine dell’opera, con i suoi undici minuti di art funk con voci operistiche, grande orchestra, tamburi, percussioni, piano elettrico, fiati free jazz e cori soul. 

È il giusto sigillo a un disco con ambizione di opera totale, pieno di rimandi alla tradizione e di suoi stravolgimenti, un ponte fra passato e futuro dove può capitare che un uomo nato in Congo quarant’anni fa senta il bisogno di introdurre un brano imitando Jacques Brel (“Les flamingants, chanson comique!”, diceva lo chansonnier nel 1977; “Passat & Bovary, chanson comique!” gli fa il verso Baloji).

27/12/2018

Tracklist

  1. Glossine (Zombie)
  2. L'hiver indien - Ghetto Mirador
  3. Bipolaire - Les Noirs
  4. Ensemble (Wesh)
  5. Spotlight
  6. Soleil de volt
  7. Ciel d'encre
  8. Peau de chagrin - Bleu de nuit
  9. L'art de la fugue - Le vide
  10. Passat & Bovary
  11. La dernière pluie - Inconnu à cette adresse
  12. Kongaulois
  13. Tropisme - Start-up
  14. Tanganyika


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