Il blues racconta sempre una storia. E ogni strofa di quel blues ha un significato.
(John Lee Hooker)
La storia di "No Mercy In This Land" inizia nella mente del veterano del blues, ormai scomparso, John Lee Hooker. Il leggendario musicista riteneva infatti che Ben Harper e Charlie Musselwhite fossero destinati a suonare insieme. Come prima tappa del suo "piano", li porta quindi in studio a registrare il remake di "Burnin' Hell", finita poi nell'album "The Best Of Friends" di Hooker nel 1998. I due da quell'incontro rimangono amici, incrociando periodicamente le loro strade fino al 2013, quando si ritrovano a condividere ancora la sala di registrazione per l'album di coppia "Get Up!" (2013), rinforzando in tour il loro già saldo legame.
Ad accomunare due musicisti distanti per tradizione e generazione è la passione mai sopita per il buon vecchio blues. Se Ben Harper, artista ormai affermatosi a livello internazionale, è partito da Claremont (California) dove i suoi nonni avevano fondato il Folk Music Center, Charlie è invece cresciuto in totale povertà a Memphis, patria del rockabilly e terra d'adozione di Elvis Presley. Tuttavia, ognuno di loro si è ritrovato, in epoche diverse, a trascorrere interi pomeriggi nei negozi di musica alla bramosa ricerca di vinili blues. Negli anni questa fede è rimasta una costante nella lunga carriera del superstite armonicista Charlie Musselwhite (classe 1944), talmente ligio al verbo da essere stato l'uomo che ha ispirato Dan Aykroyd per il personaggio di Elwood Blues dei Blues Brothers. Dal canto suo, Ben Harper ha invece lavorato per sottrazione, dapprima allargando i confini del blues verso la musica reggae, folk e funk, poi scoprendo se stesso in un viaggio a ritroso verso le radici del genere.
"No Mercy In This Land" è quel tipo di disco che racconta storie di sofferenze e perseveranza, una catarsi ruggente dove le vicende personali di Ben e Charlie si incrociano, fino a mescolarsi, con quelle di milioni di cittadini americani. Impossibile, infatti, non cogliere i riferimenti a Trump presenti nella title track, come altrettanto impossibile è non essere toccati dall'ultima strofa cantata direttamente da Musselwhite, dove esorcizza il dolore per l'abbandono del padre e la morte prematura della madre ("Father left us down here all alone/ My poor mother is under a stone"). Soltanto qualche nota d'organo si intromette nel formidabile connubio tra l'armonica di Musselwhite e la chitarra di Ben Harper, mentre altrove l'accompagnamento è dato dal piano e dalla sezione ritmica, che segue alla lettera lo struggente ululato del loro blues al chiaro di luna. Il passato dell'armonicista torna a galla inaspettatamente anche nei brani "The Bottle Wins Again" e "Bad Habits", dove alla voce di Harper si mescolano gli sbalorditivi fraseggi dell'armonica di Musselwhite, capace persino di portare alla mente certe atmosfere tipiche del disinibito jazz di Charlie Parker.
Nel corso del disco, a momenti più duri si mescolano altri più introspettivi, come nel caso del soul à-la Otis Redding di "When Love Is Not Enough" e della ballata per pianoforte di "Nothing At All", che evoca la contemplazione di una notte solitaria. Grazie a questo espediente l'album di Musselwhite e Harper, che sulla carta potrebbe risultare un disco "passatista" e prevedibile, riesce nell'impresa di tenere sempre viva l'attenzione dell'ascoltatore, attraverso febbrili brani di blues rock come "Found The One", accuratamente collocata a metà dell'opera, e l'energica opening track di "When I Go".
Insomma, se vale la regola che il blues racconta sempre una storia - come sosteneva il buon John Lee Hooker - si può dire che il duo riesca ancora a trovare le parole giuste per farlo, seppur senza rocamboleschi cambi di abito e di scena.
10/04/2018