Non so cosa capiti in altre parti d’Italia, ma a Napoli spesso è stato ‘o diavolo, ‘o diavolo che tien’ ‘n cuorpo. È un’espressione molto facile da udire in provincia, dalle bocche di vecchietti e vecchiette intenti a commentare la malefatta di turno, ad esempio. È una frase che racchiude quel mix tutto napoletano di superstizione e ironia, una frase che Ciccio Di Bella deve aver sentito spesso e che magari ha detto altrettante volte. E quindi eccolo lì, “’O Diavolo”, campeggiare sul fondale turchese della copertina del suo terzo disco in proprio, con tanto di scettro, fiamme e serpente. Accattivante come gli si confà, baldanzoso, festoso, e altrimenti come potrebbe tentarla tutta questa gente, invitarla a danzare insieme la “musica granda suonata da un tamburo gigante”, che Francesco evoca nella title track, un po’ folk e un po’ Neapolitan Power, del disco.
Il folk e il prog, ovviamente in salsa napoletana, sono tra le sfumature preponderanti di “’O Diavolo”. Il primo lo ritroviamo ad esempio a fare capolino nella ballad notturna “Notte senza luna”, il secondo balugina invece tra le tastiere cristalline della sorprendente “Rivelazione”. Si tratta tuttavia solo di due colori di una palette di influenze inattesamente varia, basti pensare a come la smisurata dolcezza di “Scinne ambresso” viene prima avvolta da una partitura orchestrale e poi fatta saltellare al ritmo di un vispo banjo. O a “Rub-a-dub style”, un altro cioccolatino (Ciccio canta qui con insistenza “m’è pigliat’, m'è pigliat' po' o' core”), che si allunga ipnotica in una lunga coda elettronica mesta e suburbana, un tripudio di suoni 90’s e occhioni lucidi.
Arrivato alla seconda prova solista (seconda senza considerare il lavoro con i Ballad Cafè, esercizio abbastanza superfluo di rivisitazione di alcuni successi scritti con i 24 Grana), Di Bella si propone come una delle voci più interessanti del panorama cantautorale (almeno) meridionale. Certo, non manca qualche ingenuità, vengono in mente la ballata piuttosto infantile “Stella Nera” e l’ennesima canzone carceraria, invero un po’ vaga, “Canzone ‘e carcerate” (brano ispirato dalle rime del poeta Ferinando Russo, ma che proprio non regge il confronto con le varie “Carcere” e “Kanzone su un detenuto politico”). Ma le improvvise esplosioni di dolcezza in un mare di munnezza, di cui Francesco di Bella è maestro indiscusso, rimangono uno dei più piacevoli miracoletti della musica indipendente italiana, e vederle perpetrarsi in vesti nuove e così cangianti è un gran piacere.
05/11/2018