A poco più di un anno di distanza da “Glitter In My Tears”, Janek Schaefer ritorna in scena con un progetto che ha radici nel lontano 2014, quando il direttivo del Sound New Festival di Canterbury gli commissiona una composizione basata sull’album di Robert Wyatt “Cuckooland”.
Spetta dunque ai ventuno minuti di “What Light There Is Tell Us Nothing” introdurre l’ascoltatore nella nuova opera dell’artista inglese, ennesima creazione musicale fatta di note diluite e rimaneggiate al fine di creare un perfetto esemplare di drone-music.
Con il consenso di Wyatt, Schaefer, su un sussurro sonoro molto affine alle logiche del chill-out, introduce e innesta una serie di campionamenti e schegge delle varie tracce di “Cuckooland”, con l’ausilio analogico di due giradischi e un raffinato collage digitale, i quali, all’unisono, modellano una piccola sinfonia.
Ventuno minuti ricchi di tensione, con suoni decontestualizzati che sembrano entrare in collisione prima di sprofondare nell’oscurità, una composizione poeticamente intensa, che cattura quell’idilliaca mistura di realtà e soprannaturale che ha marchiato a fuoco alcune delle opere più importanti dell’ex-Soft Machine.
Schaefer sembra particolarmente a suo agio nel confrontarsi con la musica di Wyatt, al punto da modulare il resto dell’album su strutture e atmosfere molto affini: il profumo fiabesco di “Tree At The End Of The World”, l’eleganza quasi rinascimentale di “Round In Circles” e il rigore armonico di “Battlestar Kaempfert” sono infatti figlie di quell’idilliaco immaginario che da “Rock Bottom” in poi ha segnato indelebilmente la musica moderna.
L’artista si lascia invece andare nelle tre parti di “Corah”, dove tra campionamenti di cori bulgari, canti indigeni e temi mediorientali, si diverte a frammentare suoni e voci a tempo di breakbeat, aprendo così le porte a nuove interessanti commistioni tra passato e presente.
Con una produzione intensa e ricca di progetti collaterali, è ovviamente prevedibile che ogni album di Janek Schaefer non riesca a mantenere fino in fondo tutte le premesse. Non sfugge alla regola anche quest’ultimo capitolo, ma grazie alla profondità della title track, ispirata all’opera di Wyatt, e a un gustoso equilibrio tra sperimentazione e scrittura, quest’ultima opera del musicista/artista segna un rilevante ritorno alla forma.
02/03/2019