Un palco immerso nel buio, il sipario sta per aprirsi, due mani – bianche - lo afferrano, sullo sfondo solo oscurità, il timore che qualcosa di nefasto possa accadere. Poi si consuma la claustrofobica rappresentazione in due atti di “Knocturne”, la notte che bussa alle nostre porte, il terzo capitolo della vicenda artistica firmata Be Forest, formazione lanciatissima anche oltre i nostri confini, protagonista di un percorso virtuoso e di grande coerenza.
L’approccio è profondamente wave, suoni ripescati dagli abissi degli anni 80, replicati con grande maestria, a materializzare un fil rouge che unisce i primi Cure, quelli minimal dark di “Seventeen Seconds” e “Faith”, con il meno angusto dreamy shoegaze degli Slowdive. Le cavalcate imperiose che contrassegnano “Gemini”, il tiro synth-pop di “K” e “Bengala”, l’austerità di “Sigfrido”, sciolta nella dolcezza delle linee cantate, e l’elegante morbidezza di “You, Nothing” riassumono un’estetica basata su ritmiche marziali, melodie eteree sempre sul punto di deflagrare, basso effettato e chitarre stratificate.
Plumbei ma mai angoscianti, sfruttando l’ondata di ritorno dei protagonisti storici dell’epoca shoegaze, i Be Forest si muovono nello stesso alveo dei romani Klimt 1918 e dei più giovani catanesi Clustersun, aggiungendo un irrinunciabile plus alla produzione di casa nostra, che nulla ha da invidiare ai più rinomati protagonisti della scena internazionale.
Pur calati nelle tenebre, Costanza, Erica e Nicola (anche nel side project Brothers In Law) oggi in fondo al tunnel possono finalmente scorgere un futuro non poco luminoso.
08/02/2019