I fratelli Marco (voce/chitarra) e Paolo (batteria) Soellner vivono a Roma, dopo le prime esperienze musicali in età adolescenziale fondano gli Another Day, traendo ispirazione dal doom inglese d’avanguardia, in particolare i primi Anathema, e dal death-metal svedese. Incidono due demo e un Ep, dopodiché si sciolgono. Siamo agli sgoccioli degli anni 90, quelli del grunge, del noise e del post-rock, l’età d’oro dell’alternative italiano. Accanto a tutte queste inevitabili influenze, Marco riscopre l’amore per la darkwave di Cure, Joy Division e Bauhaus. Con Davide Pesola al basso e Francesco Tumbarello alla chitarra proseguono la propria personale avventura artistica fondando il primo nucleo dei Klimt 1918. L’obiettivo è distanziarsi dalle sonorità dure suonate fino allora, spostandosi verso una forma canzone più estrosa e accessibile, legata a quelle influenze nu-nu-wave che stanno prendendo piede su entrambe le sponde dell’Atlantico.
Il nome della band è un omaggio al pittore austriaco Gustav Klimt e il 1918 rappresenta (oltre che la fine della I Guerra Mondiale) l’anno della sua morte. Le prime composizioni realizzate in sala prove dal neonato quartetto vengono immortalate nell’ormai introvabile demo autoprodotto Secession Makes Post-Modern Music: cinque tracce registrate dall’amico Giuseppe Orlando, noto per essere il batterista dei Novembre, fra le quali spiccano la poderosa “Schmerzwerk 1976” e la più riflessiva “Passive”. Emerge chiaro l’amore per il goth-metal nordeuropeo, mediato dalla nuova propensione a ricevere influssi wave e alt-rock. Il tutto immerso in una coltre d’elettricità mai priva dell’innesto di decisivi spunti melodici. E’ un prodotto ancora fortemente derivativo, ma già in grado di mostrare la via che la band intende perseguire. Il demo aiuta i ragazzi a racimolare qualche serata e contribuisce in maniera significativa a far girare il nome. Tutto funziona così bene che l’etichetta indipendente My Kingdom Music mette sotto contratto i quattro, con l’accordo di realizzare due album. E’ fatta!
Per completare le nuove canzoni e avere fra le mani il primo vero disco dei Klimt 1918 occorre attendere il 2003. Nel frattempo Alessandro Pace sostituisce Tumbarello alla chitarra solista, portando in dotazione input fondamentali per definire le nuove coordinate stilistiche, con il risultato che Undressed Momento suona molto più morbido e molto meno metal rispetto a quanto realizzato in passato. Basti l’ascolto della title track per comprendere l’evidente evoluzione del gruppo, in grado di concepire canzoni dal deciso taglio melodico-emozionale. “That Girl” ha le chitarre dei Cure che si incrociano con rifrazioni math, ancora più evidenti nella conclusiva “Stalingrad Theme”, “Pale Song” e “Naif Watercolour” puntano dritte verso l’indie, ”Parade Of Adolescence” contiene tutti i germi della perfetta pop-song.
Sono tante le influenze in un album stilisticamente vario, otto tracce che mostrano una band decisa a gettar via tutte le proprie certezze per spingersi in avanti. La personalità non è al momento ben delineata, ma i Klimt 1918 stanno cercando la direzione in grado di evidenziare al meglio il proprio indiscutibile talento. Sono ancora un cantiere aperto, e non potrebbe essere altrimenti, ma nel frattempo i ragazzi vengono notati dalla cult label tedesca Prophecy Productions, con la quale firmano nel 2004 un nuovo contratto, e che due anni più tardi ristamperà Undressed Momento. L’incontro con il management della Prophecy è il vero evento spartiacque nella storia del gruppo. E mentre la band inizia a farsi conoscere anche oltre i confini nazionali, arriva il momento di iniziare davvero a fare sul serio.
Nel 2005 è pronto il secondo capitolo firmato Klimt 1918: Dopoguerra. Da subito si nota una produzione più accurata, figlia dei nuovi mezzi a disposizione. Il cielo rosso sangue immortalato in copertina evoca “Under A Blood Red Sky” degli U2, riferimento evidentemente non casuale, visto che i toni di molte tracce ricordano proprio la band irlandese, a partire da “They Were Wed By The Sea”. La componente wave è ben rappresentata dalle costruzioni in stile Interpol presenti in “Rachel”, dedicata a una giovane attivista nordamericana assassinata lungo la Striscia di Gaza durante una missione di pace. Sullo sfondo restano presenti influenze del metal scandinavo (“Lomo”) e del post-rock di scuola Explosions In The Sky (la progressione della brillante “Snow Of 85”), ma l’epifania dell’intero disco è rintracciabile nella traccia conclusiva, “Sleepwalk In Rome”, dove il cantato in italiano spezza a metà la canzone che ben riassume l’intero disco.
E’ musica cinematica che lascia spazio all’immaginazione, ispirata (a detta di Soellner) dal neorealismo di Rossellini e De Sica. Una cascata di immagini, memorie e sensazioni: come sfogliare un album fotografico. Si narra del secondo dopoguerra, delle ferite lasciate dal conflitto, ma è un disco di speranza, che si apre con il celebre annuncio radiofonico della liberazione dal regime fascista in Italia. Anche se ancora derivativi, i Klimt 1918 con Dopoguerra realizzano un album che inizia a identificare in maniera più nitida la formazione romana nel panorama nazionale, spiccando per originalità e forza evocativa. Del disco verrà realizzata anche una versione estesa, contenente alcune outtake e versioni alternative dei brani. Seguirà il primo tour europeo.
A settembre del 2006 Alessandro Pace abbandona la partita, sostituito da Francesco Conte. La nuova line-up realizza Just In Case We’ll Never Meet Again, sottotitolato “Soundtrack For The Cassette Generation”. Pubblicato nel giugno del 2008, rappresenta la definitiva convergenza fra le diverse influenze della band: un limbo che racchiude i primi U2, l’abbandono romantico degli shoegazer, le ibridazioni metal di Dredg, Katatonia, Deftones e dei “nostri” Novembre. L’estremo punto d’arrivo di un’estetica della contaminazione, votata a una sempre maggiore compattezza e accessibilità. Un lavoro cesellato in maniera maniacale anche grazie all’aiuto del produttore svedese Jens Bogren, che rappresenta un ulteriore importante passo avanti nella maturazione della band. All’interno si trova un suono ricco e ovattato, nel quale l’aggressività delle origini viene totalmente stemperata in un’impronta sempre più trasognata, già ben evidenziata nell’iniziale “The Breathtaking Days”.
Nel fertile terreno della malinconia e della memoria, Marco Soellner e compagni traggono la linfa vitale delle proprie canzoni: istantanee di volti, luoghi, momenti perduti nel tempo, avvolte in una luce tenue e sbiadita, ma in grado di resistere come un rifugio sicuro dove trovare calore e consolazione. Canzoni malinconiche, nostalgiche, sofferte, decadenti, ma sempre positive, con spesso al centro il tema della caducità della vita e dell’amore, dense di spleen e al contempo di felicità e speranza, nelle quali la componente drammatica non risulta mai forzata.
Un lavoro dal grande respiro poetico, un fiume in piena che quasi stordisce, senza pause, nel suo sfrenato e ispirato slancio ad alto tasso di enfasi emozionale. Ogni traccia trabocca dei contrastanti stati d’animo propri di un addio o di un ritorno alle radici, e su tutte grava uno struggente senso di incolmabile distanza. Nei momenti più toccanti e magniloquenti i Klimt 1918 trovano la loro cifra più congeniale, riuscendo a regalare gioielli indimenticabili: “Ghost Of A Tape Listener” è un’esplosione di luci e colori sotto forma di irrequieta ballata (post-)rock, “Just An Interlude In Your Life” è possente nel suo incedere, lo spettacolare anthem “Skygazer” svetta su tutto, “The Graduate” ci lascia indifesi col suo passo dolce e sconsolato, sublimato in una nostalgica e travolgente coda strumentale. La band si mostra in vesti new wave nella briosa title track e nell’oscura “Atget”, episodi che identificano in maniera naturale la possibile via di mezzo fra Interpol (richiamati anche in “Suspense Music”) e Deftones. “All Summer Long” si avventura in più astratte sperimentazione shoegaze, dalle quali il gruppo pare sempre più affascinato. E sarà proprio questa la via maestra che contraddistinguerà in maniera nettissima, qualche anno più tardi, l’età adulta della formazione laziale.
Con Just In Case We'll Never Meet Again i Klimt 1918 si impongono in maniera definitiva all’attenzione nazionale, diventando uno dei punti di riferimenti nella nuova scena indie-rock italiana. Ad aprile 2009 la band rilascia il primo videoclip, realizzato per accompagnare “Ghost Of A Tape Listener”, e successivamente pubblica un Ep contenente l’inedita “Blackeberg 1981”. Poi la band inaspettatamente scompare dalle scene per diversi anni. Costretti ad affrontare le incombenze dell’età adulta, Marco Soellner e soci hanno nel frattempo continuato a scrivere e - nei ritagli di tempo - a provare, con l’obiettivo di realizzare prima o poi il tanto sospirato quarto album.
Alla fine di materiale ne hanno scritto e registrato così tanto che con la label tedesca Prophecy si è palesata l’opportunità di realizzare due dischi. Hanno così preso vita “Sentimentale” e “ Jugend”, il primo lievemente più “atmosferico” (“Montecristo”), il secondo un pochino più spinto (“Sant’Angelo”), ma tanto compatti da far propendere per la pubblicazione in contemporanea. Sentimentale Jugend, rilasciato il 2 dicembre 2016, è un progetto coraggioso, sia per il peso specifico (parliamo di 19 tracce per 108 minuti complessivi, più una bonus track nell’edizione limitata con doppio cd e booklet di 48 pagine), sia per l’inusuale credibilità nell’alternanza fra italiano e inglese, sia per il preciso riferimento stilistico: un apparato shoegaze malinconico e ricchissimo di spunti melodici, in grado per la prima volta di definire in maniera netta la personalità dei quattro musicisti coinvolti. Voci eteree di derivazione dream-pop, chitarre effettate sempre sul punto di deflagare, pennellate di synth travasati negli amplificatori, a ergere un muro di suono tanto impenetrabile quanto la nebbia ritratta in copertina. I punti di riferimento sono individuabili non tanto nei classici Ride, Slowdive e My Bloody Valentine, quanto nel recente percorso degli americani Nothing o nei primi lavori dei “nostri” Giardini di Mirò.
Sentimentale Jugend si distingue per intensità e tratto epico, mettendo al bando quasi completamente qualsiasi pregressa influenza goth-metal, alt-rock e indie-pop, mantenendo giusto qualche lieve deriva wave (“Belvedere”) e stabilendo sin dalle prime tracce (“Comandante” e “La notte” lambiscono la perfezione) un carico emozionale così elevato da divenire a tratti insopportabile. La prolissità non inficia la brillantezza del risultato finale, anche se mantenere alto il livello di attenzione all’interno di un monolite di questo calibro è affare assai arduo, con soluzioni e dinamiche che inevitabilmente tendono a ripetersi. Resta l’amletico dubbio: un disco più snello (sforbiciando qualche passo più “ambient” ed evitando l’unica cover in programma, la trascurabile “Take My Breath Away” dei Berlin) sarebbe risultato più efficace, e magari più digeribile a una fetta di pubblico maggiore? Ma evidentemente l’obiettivo della band è quello di non scendere a compromessi e, nella consapevolezza di avere fra le mani il disco della vita, non vuole rinunciare a farcelo conoscere integralmente. Sentimentale Jugend è un tomo così bello e affascinante anche perché così volutamente imperfetto, ha la forza di fissare il punto più alto della carriera dei Klimt 1918, un’opera enciclopedica destinata a iscriverli fra i migliori esponenti della scena shoegaze europea.
Contributi di Mauro Roma ("Just In Case We'll Never Meet Again")
Secession Makes Post-Modern Music (demo, autoprodotto, 2000) | 5,5 | |
Undressed Momento (My Kingdom Music, 2003 / Prophecy, 2005) | 6 | |
Dopoguerra (Prophecy, 2005) | 6,5 | |
Just In Case We'll Never Meet Again (Prophecy, 2008) | 7 | |
Sentimentale Jugend (Prophecy, 2016) | 7,5 |
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