"Birth Of Violence", la nascita della violenza. Ed eccola là Chelsea Joy, spietata sacerdotessa di nero vestita, brandire e levare un pugnale. Pronta a sferrare il colpo fatale di un sacrificio. Ricostruendo, avvolta tra le nubi dello spettrale artwork, il truculento rito fondante di numerosi culti umani. Segno dell'eterna e profonda interconnessione tra umanità e violenza.
Praticamente il tema perfetto per le spire doom metal di "Abyss" e "Hiss Spun", che avvolgono fino a strangolare. E invece no, sempre spiazzante, mai accomodante, l'artista di Sacramento questa volta punta tutto su arrangiamenti acustici, per un on the road dark-folk elegiaco e scheletrico, con fosche folate di archi a disegnarne le ombre più lunghe. Concessioni all'elettricità vengono fatte solo nel polveroso singolo "Deranged For Rock & Roll" e in "The Mother Road", canzoni comunque prive di riff, con le chitarre a produrre piuttosto riverberi e sfumature apocalittiche.
"American Darkness" è un brano addirittura dolce, con l'andamento dettato da uno strumming timido immerso nella polvere e dolcissimi tocchi di tastiere a rendere il tutto ulteriormente languido. Forte di un arrangiamento ancora più evanescente, la title track vede la voce di Chelsea librarsi priva di zavorre in ammalianti gorgheggi sireneschi. Praticamente un numero ethereal, non l'unico peraltro; fa parte del novero anche la magnifica "Be All Things", litania imbevuta nell'esoterismo dei Dead Can Dance (seppur priva della loro carica ipnotica) che culmina in una fugace ascensione tra nuvole e luci paradisiache. La più minacciosa "Erde" parte dai soliti arpeggi strascicati di chitarra acustica, ma devia presto verso pericolosi ritmi rituali da strega della terra; mentre il richiamo affabulatore di "When Anger Turns To Honey" è più innocuo solo in apparenza.
Riuscitissime sono anche le ambientazioni gotiche della doppietta "Little Grave" e "Preface To A Dream Play", entrambe brumose, infestate da venti sinistri e agghiaccianti droni d'oltretomba.
Più vicino alle sue prime cose che agli ultimi dischi, alle composizioni più minimali di Emma Ruth Rundle e Marissa Nadler che all'impeto di Swans e Anna Von Hausswolff, "Birth Of Violence" ci permette di assaporare sfumature della voce di Chelsea Wolfe finora rimaste nascoste sotto smottamenti di chitarra e altri terrori sonici. Si tratta di un disco anche rischioso, e non ci sembra impossibile che finisca con l'alienare qualche fan meno propenso a ritmi distesi e orchestrazioni quasi interamente acustiche.
La Wolfe non ammalia sempre come vorrebbe ("Dirt Universe", la stessa "When Anger Turns To Honey"), ma nel complesso mette a segno un altro colpo, che ha il merito aggiuntivo del coraggio di rompere con il recente passato.
17/09/2019