Fire! Orchestra

Arrival

2019 (Rune Grammofon)
experimental big-band

Un colpo di scena emozionante, un cambio di rotta che Mats Gustafsson, Johan Berhtling e Andreas Werliin avevano progettato da tempo. Con “Arrival” la Fire! Orchestra modifica la corposa line-up di 14 elementi con l’ingresso di nuova forza vitale, addirittura stravolge l’assetto strumentale, con una sezione d'archi di quattro elementi e tre clarinetti a fare da padrone. La musica si tinge di noir, esaltando ancor di più i contrasti tra follia e ragione, tra bianco e nero. Nessun album della Fire! Orchestra è stato così multiforme e ricco di dettagli. Un progetto che è frutto di un lavoro collegiale, intenso.

Nei tredici minuti iniziali di “(I Am A) Horizon” è racchiusa la potente visione sonora di “Arrival”: al prevedibile crescendo circolare, si sovrappongono tonalità di piano e tromba, mai così introspettive e dolenti; i ritmi sono possenti ma per niente incalzanti o frenetici, e un’architettura più ariosa degli arrangiamenti permette a ogni dettaglio strumentale (una serie interminabile di riff) di non disperdersi nel complesso tessuto armonico. Poi ci sono le voci di Mariam Wallentin e Sofia Jernberg, anche esse protagoniste della silente rivoluzione creativa in casa Fire! Orchestra.

“Arrival” è un esuberante insieme di armonia e caos, una sequenza di stati d’animo ancor più elaborati e articolati: materia prima della vulcanica “Weekends (The Soil Is Calling)”, dove il gruppo ripristina i toni striduli e free form-jazz più tipici, iniettando un dinamismo creativo che coinvolge voci e strumenti. Il risultato è una delle più ardite contaminazioni tra jazz, funk, sonorità etniche e kraut che si possa immaginare.
Non c’è tregua nel nuovo disco della Fire! Orchestra, il dolce bisbiglio del contrabbasso che intercetta la superba melodia dell’intensa folk-ballad  “Blue Crystal Fire” è un’intuizione non solo affascinante ma geniale: la musica procede solenne con le voci di Sofia e Mariam che, prima solitarie, e poi in sincrono, creano un’atmosfera d’estatica bellezza, aggiungendo fascino visionario alla già notevole composizione di Robbie Basho.

Loop, fiati e violino in costante tensione, una serie di frammenti melodici che si mescolano a un cantato che da suadente si tramuta prima in uno stridio e poi in simil-rap modellano la lunga “Silver Trees”: brano tra i più enigmatici e difficili del progetto. Il tono gutturale, aspro del ruggito del sax tiene invece alta la tensione di “Dressed In Smoke. Blown Away”, suggellata da un crepitio di voci e appena ingentilita dal suono dei violini e dal timbro greve dell’incedere ritmico.
E’ breve e magica l’incursione nel folk celtico di “(Beneath) The Edge Of Life”, perfetta introduzione per la cover di “At Last I Am Free”, brano scritto dagli Chic e reso ancor più noto da Robert Wyatt, qui deformato e destrutturato per poi librare verso una simil-sinfonia il cui crescendo emotivo, suggellato da splendide performance vocali, sigilla alla perfezione un inatteso gioiellino, un album che potrebbe essere riassunto con un vecchio slogan pubblicitario della Pirelli: "La potenza è nulla senza controllo".

30/05/2019

Tracklist

  1. (I Am A) Horizon
  2. Weekends (The Soil Is Calling)
  3. Blue Crystal Fire
  4. Silver Trees
  5. Dressed In Smoke. Blown Away
  6. (Beneath) The Edge Of Life
  7. At Last I Am Free




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