Un colpo di scena emozionante, un cambio di rotta che Mats Gustafsson, Johan Berhtling e Andreas Werliin avevano progettato da tempo. Con “Arrival” la Fire! Orchestra modifica la corposa line-up di 14 elementi con l’ingresso di nuova forza vitale, addirittura stravolge l’assetto strumentale, con una sezione d'archi di quattro elementi e tre clarinetti a fare da padrone. La musica si tinge di noir, esaltando ancor di più i contrasti tra follia e ragione, tra bianco e nero. Nessun album della Fire! Orchestra è stato così multiforme e ricco di dettagli. Un progetto che è frutto di un lavoro collegiale, intenso.
Nei tredici minuti iniziali di “(I Am A) Horizon” è racchiusa la potente visione sonora di “Arrival”: al prevedibile crescendo circolare, si sovrappongono tonalità di piano e tromba, mai così introspettive e dolenti; i ritmi sono possenti ma per niente incalzanti o frenetici, e un’architettura più ariosa degli arrangiamenti permette a ogni dettaglio strumentale (una serie interminabile di riff) di non disperdersi nel complesso tessuto armonico. Poi ci sono le voci di Mariam Wallentin e Sofia Jernberg, anche esse protagoniste della silente rivoluzione creativa in casa Fire! Orchestra.
“Arrival” è un esuberante insieme di armonia e caos, una sequenza di stati d’animo ancor più elaborati e articolati: materia prima della vulcanica “Weekends (The Soil Is Calling)”, dove il gruppo ripristina i toni striduli e free form-jazz più tipici, iniettando un dinamismo creativo che coinvolge voci e strumenti. Il risultato è una delle più ardite contaminazioni tra jazz, funk, sonorità etniche e kraut che si possa immaginare.
Non c’è tregua nel nuovo disco della Fire! Orchestra, il dolce bisbiglio del contrabbasso che intercetta la superba melodia dell’intensa folk-ballad “Blue Crystal Fire” è un’intuizione non solo affascinante ma geniale: la musica procede solenne con le voci di Sofia e Mariam che, prima solitarie, e poi in sincrono, creano un’atmosfera d’estatica bellezza, aggiungendo fascino visionario alla già notevole composizione di Robbie Basho.
Loop, fiati e violino in costante tensione, una serie di frammenti melodici che si mescolano a un cantato che da suadente si tramuta prima in uno stridio e poi in simil-rap modellano la lunga “Silver Trees”: brano tra i più enigmatici e difficili del progetto. Il tono gutturale, aspro del ruggito del sax tiene invece alta la tensione di “Dressed In Smoke. Blown Away”, suggellata da un crepitio di voci e appena ingentilita dal suono dei violini e dal timbro greve dell’incedere ritmico.
E’ breve e magica l’incursione nel folk celtico di “(Beneath) The Edge Of Life”, perfetta introduzione per la cover di “At Last I Am Free”, brano scritto dagli Chic e reso ancor più noto da Robert Wyatt, qui deformato e destrutturato per poi librare verso una simil-sinfonia il cui crescendo emotivo, suggellato da splendide performance vocali, sigilla alla perfezione un inatteso gioiellino, un album che potrebbe essere riassunto con un vecchio slogan pubblicitario della Pirelli: "La potenza è nulla senza controllo".
30/05/2019