È veramente difficile non provare un istintivo moto di simpatia per un personaggio come Lizzo. Certo, qualcuno potrebbe sentirsi non poco oppresso da una personalità così travolgente e priva di filtri come la sua, basta però la sua risata trascinante, o volendo un bel video in cui insegna a twerkare a ritmo di flauto traverso, per rendersi conto che dietro le dichiarazioni pompose e la grandeur vocale si nasconde una ragazza piena di energia e autoironia, tanto una valida ambasciatrice della body-positivity (la copertina che potete guardare qui sopra dice tutto in merito) che un'autentica cazzona della porta accanto, quella con cui tornare a essere brufolosi quindicenni anche solo per un pomeriggio.
Approdata dopo una lunga gavetta alla volta del contratto major, “Cuz I Love You” è sotto molti punti di vista la presentazione presso il grande pubblico dello strabordante temperamento di Melissa Jefferson, di una polivalenza espressiva che la porta a cantare, rappare, comporre e suonare senza soluzione di continuità, offrendo un saggio compatto e serratissimo di black-music pimpante, energica, estremamente variegata. Basta però la forza del proprio carattere a trainare un intero disco?
Innegabilmente i tre brani estratti hanno esposto nella maniera migliore il contenuto dell'album e i suoi temi principali, sia sonori che concettuali, introducendo con pienezza di risultati l'intero universo espressivo di Lizzo. “Juice”, singolo che da tempo anima anche le rotazioni radiofoniche italiane, è pura brillantezza vintagista, un esplosivo saggio disco-rap in cui Jefferson riesce sia a tirare fuori la sua Aretha interiore (la mente corre però anche alla grinta vocale di Cheryl Lynn) che a trasformarsi nella più decisa e fiduciosa Mc in circolazione, dalla verve inarrestabile e dalla positività contagiosa. E se qua sono bassi e ottoni anni Settanta a farla da padroni, è il bounce di New Orleans a prevalere in “Tempo”, fluido esercizio rap in cui l'autrice fa assoluta chiarezza sulle qualità del suo flow, mostrandosi tanto fiera quanto sciocca, se l'occasione lo richiede (nel caso il contributo di Sua Maestà Missy Elliott sa come evitare di buttare il tutto in caciara).
All'altro estremo, la title track, strategicamente posta ad apertura di sipario, è pura enfasi canora, momento di grandeur emotiva e visceralità soul che modernizza l'impianto sonoro doo-wop alla luce del contemporaneo eclettismo black.
Tre singoli, tre assalti alla giugulare delle classifiche del 2019, in virtù di una freschezza che sa essere avvincente anche a non guardare troppo agli imperanti paradigmi degli ultimi anni. È un peccato che, fatte salve altre rare eccezioni, siano gli unici punti salienti di un disco che ripone troppa fiducia nella conduzione del suo pilota, perdendo di vista sia la strada che il tragitto da percorrere. Troppo smaniosa di porsi al centro della narrazione, di far passare con tutta la forza necessaria il messaggio pieno di fiducia connaturato al suo percorso e all'album stesso, Lizzo finisce col far perdere alle canzoni nerbo ed efficacia melodica, spesso puntando a eccessive semplificazioni o a ovviabili scorciatoie, tese a trarre il massimo dal minor sforzo possibile.
Se il tiro di “Like A Girl” prende da vicino la faciloneria electropop di “Sorry Not Sorry” di Demi Lovato, con tutti gli orpelli vocali annessi, “Jerome” tira fin troppo per le lunghe un banale j'accuse contro lo sciocco amante di turno, accennando appena un vago abito melodico a coprire la datata cornice r&b anni 00. Meglio insomma quando la dirompenza di Jefferson può esprimersi senza filtri compositivi, sfoderando punte di acuta sensualità (il torrido crescendo di “Lingerie”) o veri e propri anthem, capaci di riempire palazzetti interi (i gloriosi attacchi dell'inno rap “Soulmate”). Qui sì che si riesce davvero a godere di tutta l'eccezionale esuberanza di Lizzo.
Non si prenda comunque il progetto come una mezza delusione. Se è vero che i singoli hanno fatto venire un'incontenibile acquolina in bocca a moltissimi, nondimeno “Cuz I Love You” costituisce un notevole passo in avanti rispetto ai primi due album, quelli sì effettivamente stentati e privi di particolare nerbo. Per arrivare a diventare la nuova Aretha Franklin, come la stessa musicista ambisce a essere, ci sarà comunque bisogno di ulteriore maturazione. La strada imboccata è senz'altro quella giusta.
02/05/2019