Difficile identificare un profilo che abbia segnato l’hip-hop al femminile, e nella sua interezza, quanto quello di Missy Elliott, also known as Misdemeanor, al secolo Melissa Arnette Elliott da Pourtsmouth, Virginia. Queen of rap, epiteto che abbiamo scelto come titolo per questa nostra monografia, è soltanto uno dei tanti appellativi dei quali la stampa anglofona ha insignito la rapper e produttrice americana. Tra gli altri, ricordiamo anche Queen e First Lady of hip-hop. Forse soltanto Beyoncé Giselle Knowles, molti anni dopo, avrebbe avuto un'eco paragonabile alla sua.
La sua carriera ha segnato un cambiamento per il modo in cui ha abbracciato la body positivity e la sex positivity, nonché per il modo in cui ha imposto una nuova immagine della donna nel mondo hip-hop, arrivando al pieno controllo della sua opera e del suo messaggio senza scadere nei modelli predominanti di bomba sexy o essere androgino. A differenza di tante rapper e gruppi rap femminili precedenti, Missy Elliott si è imposta come un colosso dell’industria musicale, una magnate capace di muovere i fili di un music business da sempre in mano agli uomini.
A livello stilistico, il suo modo di unire il messaggio con il divertimento, la tecnica con l’emozione e la tradizione con il sound più futuristico ne fa un esempio di poliedricità raro nella musica tra i due millenni, nonché un modello per le future carriere di Nicki Minaj, Cardi B e Doja Cat. La continuità tra cantare e rappare, che è ben presente nei suoi album, e l’uso massiccio dell’elettronica nei beat sono elementi ravvisabili nei suoi primi album, anche grazie al contributo fondamentale di Timbaland, e hanno verosimilmente rappresentato un’influenza per molta della musica r’n’b, hip-hop e pop-rap degli anni Zero e Dieci. Persino i video musicali di Missy Elliott hanno portato al mondo qualcosa di diverso, e abbastanza fuori di testa, da lasciare un segno indelebile nella cultura pop.
Tutto questo potere è stato alimentato, oltre che dagli entusiasmi della critica, da un ampio successo di pubblico, anche in quella parte di Stati Uniti fino ad allora più lontana dall’hip-hop, quella lontana dalle megalopoli costiere. Con un totale di oltre 40 milioni di dischi venduti è ancora oggi la rapper di maggior successo di sempre.
Ma Missy Elliott è stata cruciale anche come autrice per terzi e come produttrice: basterebbe citare il secondo, straordinario disco di Aalyah, “One In A Million” (1996), in mezzo a un elenco di decine di collaborazioni. Disco che la Elliott non soltanto ha prodotto, in compagnia del succitato Timbaland, ma del quale ha scritto diverse tracce e al quale ha prestato una valanga di backing vocals e frammenti rap.
La musicista di Portsmouth è stata ed è attivissima anche come stilista e nel mondo del cinema, sia come autrice di canzoni e colonne sonore: come non citare la sua versione di “Lady Marmalade” per “Moulin Rouge!” (2001) di Baz Luhrman, cantata da Christina Aguilera, Lil' Kim, Mýa, Pink.
Ha esperienza come attrice e doppiatrice. È impegnata come attivista per i diritti della comunità nera, delle donne e degli animali. Ha vinto oltre 200 premi, tra cui 15 Mtv Video Music Awards, 9 BET Awards e 7 Grammy. È stata la prima rapper donna a essere inserita nella Songwriters Hall Of Fame e nella Rock And Roll Hall Of Fame.
Nell’agosto del 2017 è stata portata avanti persino una petizione per dedicarle una statua nella natia Portsmouth ma, per adesso, deve accontentarsi di una via intitolata a lei, “Missy Elliott Boulevard”. E di questa monografia.
Dal coro della chiesa a Supa Dupa Fly
Classe 1971, la Elliott nasce a Portsmouth, nella stessa Virginia di Pharrell Williams e dei Clipse, di fatto contribuendo a posizionare sulla mappa della musica hip-hop e r’n’b uno Stato altrimenti solidamente legato alla tradizione country di Patsy Cline, della Carter Family e del Golden Gate Quartet, ma anche a quella blues e jazz di Ella Fitzgerald e Robert Cray. Cresce frequentando il coro della chiesa e coltivando il sogno di esibirsi davanti alle altre persone, partendo dai familiari. La scuola non è mai stato il suo forte e la famiglia in cui cresce è schiacciata dalla povertà nonché funestata dalla violenza domestica del padre sulla madre. La stessa Elliott subisce rimane segnata da questa infanzia difficile, nonché dall’abuso sessuale che subisce da parte di un cugino.
La situazione è tanto insostenibile che a 14 anni madre e figlia decidono di scappare, alla ricerca di una vita migliore. Melissa Elliott conclude il percorso scolastico nel 1990 e fa irruzione sulle scene black nel 1991 quando fonda il collettivo rap al femminile Fayze, poi rinominato Sista. Nei suoi primi frenetici anni di attività, Missy Elliott fa la conoscenza con DeVanté Swing, per la cui etichetta Swing Mob, una sussidiaria hip-hop della Elektra, usciranno i suoi primi lavori con la crew, ma soprattutto con il produttore e futura superstar Timbaland, anche lui attivo presso l’etichetta e destinato a diventare uno dei nomi di riferimento di tutto l’r’n’b e dell’hip-hop tra i due millenni, grazie alle collaborazioni con, tra gli altri, Usher, Snoop Dogg, Jay-Z, Nas, Solange, Justin Timberlake, LL Cool J, Ludacris, Jennifer Lopez e Nelly Furtado.
Un incontro, quello tra Missy Elliott e Timbaland, che cambierà per sempre la sua carriera e la sua vita. Non soltanto Timbaland ha prodotto la stragrande maggioranza dei lavori di Missy Elliott, ma la ha fiancheggiata come produttrice per terzi, nonché, per un lungo periodo, è stato il suo compagno di vita – anche se ad oggi Missy Elliott è dichiaratamente bisessuale e predilige partner di genere femminile.
In questi primi anni, Missy Elliott fa di tutto per emergere, comparendo, a volte senza essere accreditata, nei brani e negli album altrui. Timbaland e DeVanté sono pronti a pubblicare l’esordio delle Sista, “4 All The Sistas Around Da World” (1994), ma la promozione non va come sperato e l’album viene accantonato per essere ripubblicato solo molti anni dopo, nel 2017. Col senno di poi, la mistura di r’n’b, hip-hop e soul racconta molto del contesto in cui germoglia la carriera solista di Missy Elliott: un mondo musicale dove i confini sono labili e la contaminazione è la regola. “Sweat You Down” e “Brand New” avrebbero avuto le potenzialità delle hit e alcuni degli altri brani contengono già elementi di interesse, soprattutto nelle produzioni eclettiche e nell'alternarsi di cantato e rap, anche se il disco in sostanza non c’è, con molti interludi e brani che sembrano impantanati allo stadio di bozze. Alcune canzoni, come “I Wanna Be Wit U”, rispondono a modelli di r’n’b ritriti anche per l’epoca delle registrazioni.
Supa Dupa Fly (1997), invece, sembra arrivare dal futuro, a partire dalla frenetica introduzione affidata a Busta Rhymes. La tempesta sonora, tra ritmi affollati e suoni digitali, è il terreno in cui Missy Elliott si muove agile come una pantera in "Hit Em Wit Da Hee" (featuring Lil' Kim), una fusione di sensualità e divertimento che è centrale in tutto l’album e quando, nella coda, il beat respira, se ne apprezza la sfumatura funk.
"Sock It 2 Me” (feat. Da Brat) è una bomba ormonale impazzita, con ottoni lussuriosi a contrastare un beat martellante; a sottolineare l’istrionismo di Missy Elliott, qui più vicina al canto che al rap, i versi più affilati e veloci sono lasciati all'ospite. A chiudere un filotto sensazionale arriva uno dei capolavori della carriera, l’hip-hop alieno e futuristico di “The Rain (Supa Dupa Fly)”, affollato di suoni concreti di pioggia e tuoni, infarcito di elementi ritmici in secondo e terzo piano; la struttura circolare, allucinata di echi e voci filtrate, si accoppia perfettamente con il video ipnotico in cui la rapper veste una giacca oversize che la trasforma, grazie anche a un fish-eye, in una sorta di sensuale medusa extraterrestre.
Il resto dell'album esplora in modo più esteso questa fusione di futuristico, sensuale e fantasioso, unendo un beat frenetico a linee vocali sinuose in "Beep Me 911" (featuring 702 & Magoo) o lasciando lo spazio alla titolare per passare dal rap più serrato al canto di matrice reggae in “Pass Da Blunt” (feat. Timbaland) ma anche rallentando in una quiet storm per vocoder e suoni l'elicottero, la versione androide di una bollente ballata da lenzuola di seta. In “Izzy Izzy Ahh” la voce profonda diventa protagonista, moltiplicata dalla produzione e dalla fantasia di Missy Elliott e delle sue invenzioni al microfono.
In parallelo alla sintesi stilistica originale, Missy Elliott gioca anche con i cliché dell'hip-hop, per esempio sovvertendo la più ovvia interpretazione di “Don't Be Comin’ (In My Face)” o imitando fino alla caricatura gli ego-trip dei colleghi maschi (“I’m Talkin’”).
Salutato dalla critica contemporanea come una boccata d'aria fresca rispetto alla faida tra East e West Coast, nonché come il manifesto estetico di un nuovo tipo di rapper donna, Supa Dupa Fly ottiene il disco di platino e impone Missy Elliott e Timbaland come una delle coppie più importanti per traghettare la musica statunitense nel nuovo millennio. Una simile sintesi, tanto ampia e azzardata, profonda eppure divertente, trova pochi paragoni, uno dei quali negli istrionici OutKast, non a caso provenienti dalla Georgia.
Rime che danno dipendenza: Da Real World e il capolavoro
Per il secondo album la lista degli ospiti è lunga e comprende anche Beyoncé, Eminem, Big Boi dei succitati Outkast, la rapstar francese MC Solaar e Redman. Da Real World (1999) avrebbe dovuto intitolarsi “She’s A Bitch”, come il primo singolo: un brano in cui Missy Elliott sovverte il valore negativo del termine bitch attribuendoselo orgogliosamente.
Il duetto con Eminem, all'epoca in cima al mondo della musica popolare, è un attestato di stima di prima grandezza, anche se il brano non è memorabile né particolarmente ricordato.
Troppo spesso gli ospiti portano i brani ad allungarsi abbastanza da concedere spazio ai grandi nomi che intervengono, come nel caso del funk-soul-rap miagolante di “All N My Grill” con Big Boi e Nicole Wray o “Dangerous Mouths”, dove Redman è il vero protagonista e porta in dote il suo modo di fare rap, assai meno colorato ed eccentrico di quello di Missy Elliott. L’effetto collaterale è un album dove la personalità istrionica della titolare ha meno opportunità di brillare e nel quale tale cambiamento è reso ancora più evidente da una riduzione delle idee nelle produzioni. Può sfoggiare il suo lato sensuale in “You Don’t Know” con Lil’ Mo e continuare a dimostrarsi una rapper di talento, come nell’aggressiva “Beat Biters” con la voce filtrata e rauca, ma nel complesso l’effetto travolgente dell'esordio non viene replicato: se quello fu un terremoto, questa è al massimo una scossa di assestamento.
Un po’ dell’entusiasmante pastiche elettro-futuristico dell’esordio rivive nelle contaminazioni di “Mr. Dj” (feat. Lady Saw) e nella più immediata “Smooth Chick”, con il ficcante riff di ottoni.
Il pubblico accoglie comunque in modo entusiasta questo secondo album, premiato con il disco di platino per aver superato il milione di copie vendute, e anche la critica, pur a volte rinvenendo la flessione dell'ispirazione, non manca di confermare il sostanziale e ampio supporto a Missy Elliott.
Questo supporto è ripagato egregiamente dal capolavoro della sua carriera, Miss E... So Addictive (2001), un concentrato di idee che porta a pieno compimento le intuizioni dell’esordio, adesso arricchite dalle possibilità di una carriera ben avviata. Timbaland sembra aver ricaricato le batterie e Missy Elliott è più sicura che mai dei propri mezzi come scrittrice, cantante e rapper. Se Supa Dupa Fly ne ha presentato la personalità al pubblico, questo terzo album è fondativo per un modo di intendere il rap al femminile come qualcosa di sostanzialmente differente da quanto fatto da tanti colleghi maschi. Inserito dal Guardian tra i 100 album del ventunesimo secolo e da Pitchfork tra quelli del decennio Zero, nonché da Rolling Stone tra i migliori album hip-hop di tutti i tempi, Miss E… So Addictive è l’opera definitiva di Missy Elliott, quella che diventerà anche il punto di riferimento per il resto della sua carriera.
Anche il successo commerciale è confermato, sia con il disco di platino riconosciuto all’album per la vendita di oltre un milione di copie, sia con i fortunatissimi singoli. Sorprendentemente, questo risultato non è ottenuto riducendo le ospitate ma, semplicemente, integrandole in modo più organico nei brani: Missy Elliott rimane protagonista quando canta sensualmente in "Dog In Heat" (feat. Method Man & Redman), un funk digitale che aggiorna le trovate di Dr. Dre a una sensibilità più dirty south ed elettronica, e anche nel singolo “One Minute Man”, dove rappa affiancata da Ludacris su un’ipnotica produzione zeppa di synth che avrebbe fatto contento il conterraneo Pharrell.
La titolare si cala perfettamente nel ruolo della cantante più elegante nella ballata r’n’b “Take Away”, con Ginuwine a fungere da supporto soul e con un sorprendente intervento di vocoder, ma è a suo agio anche nel beat frenetico del successo da discoteca “4 My People”, con Eve e con la cassa che batte forte in 4/4 tra battimani, synth-bass e pizzicati. Nel caso di “Watcha Gonna Do” la collaborazione con Timbaland, qui anche alla voce, è quasi un autotributo a una coppia di artisti che ha aiutato a ripensare l’hip-hop a inizio secolo.
Quando è sola al microfono, Missy Elliott è se possibile ancora più istrionica: ruggisce e grida in “Lick Shots”, variando delivery e flow con generosità, e cavalca il beat futuristico-indianeggiante del doppio-platino “Get Ur Freak On”, uno dei gioielli di Timbaland e il contenitore nel quale può mettere in mostra la sua eclettica idea di cantante e rapper; sospira svenevole e grida invasata in “Scream a.k.a. Itchin’” ma può ambientarsi facilmente nel g-funk dopato di “Old School Joint”, un’orgia di synth pigolanti e linee di basso ottantiane; ammorbidisce il suo stile per sciogliere la sua voce nell’allucinazione psych-funk di “X-tasy”. Neanche Jay-Z, nel remix di One Minute Man, le toglie granché spazio, e non è scontato, considerando la personalità che il rapper di Brooklyn dimostra dietro il microfono.
Apparantemente, all’altezza del suo terzo album nessuno la può fermare.
Who's that bitch? People you know
Me and Timbaland been hot since twenty years ago
What the dealio? Now what the drilly, yo?
You wanna battle me, then, nigga, let me know
If it's 9 to 5 or shaking your ass (Aha)
Ain't no shame, ladies do your thing (C'mon)
Just make sure you ahead of the game
Con le apparizioni di 50 Cent, TLC, Ludacris e dei coniugi Carter, Jay-Z e Beyoncé, Under Construction è una parata di star festosa e partecipata, ma anche consapevole e impegnata. I groove delle varie “Back In The Day”, “Hot” e “Can You Hear Me” sono irresistibili e i loro vocals sinuosi e suadenti; episodi più stradaioli, come “Gossip Folks” e “Slide”, presentano battiti e andamenti più ossessivi che sospingono i momenti più gangsta del rappato della Elliott, sempre dannatamente a suo agio quando c’è da tirar fuori le unghie.
Impossibile poi non citare “Work It”, semplicemente uno dei brani rap più famosi di sempre, una banger destinata a influenzare qualunque donna in futuro avesse deciso di cimentarsi con una mina hip-hop del genere – ne sanno qualcosa anche le contemporanee Doja Cat, Nicki Minaj e Megan Thee Stallion.
Under Construction manca forse un po’ della carica innovatrice che permeava il suo predecessore, ma è un album privo di cedimenti che, con due milioni e centomila copie vendute, avrebbe superato il record di vendite di Missy Elliott e sarebbe diventato il disco hip-hop al femminile più venduto di sempre.
Acclamato dalla critica e dalla stragrande maggioranza dei suoi colleghi, il quarto disco della Elliot vanta però anche fan meno prevedibili. Fanno parte di questa categoria Nick Zinner e Karen O degli Yeah Yeah Yeahs che, intorno alla sua uscita, dichiararono di ascoltarlo per darsi la carica prima di ciascuno dei loro elettrici concerti indie.
Pubblicato soltanto un anno dopo per Elektra, This Is Not A Test! (2003) ha un taglio completamente diverso, anche questa volta anticipato brillantemente dalla copertina: Missy indossa un lungo cappotto di pelle, porta al guinzaglio due imponenti molossoidi e dietro di lei torreggia un mezzo militare con carrozzeria mimetica e grossi pneumatici.
Quello che ci troviamo davanti non è tra i suoi lavori migliori, penalizzato com’è da una durata di oltre un’ora che non sempre compensa la fatica con la qualità. Tuttavia, la svolta stilistica verso beat aggressivi e toni pienamente dancehall ha comunque dato alcuni frutti notevoli. Certamente “Bomb Intro/ Pass That Dutch”, con i suoi battiti possenti e l’elettronica a raggi laser, e la coatta ma pregnante “Ragtime Interlude/ I’m Really Hot”, ma è tutta da ballare anche la deliziosa “Keep It Movin.”, la quale può contare su aromi electro-swing e sull’inflessione ragga di Elephant Man.
È interessante anche una “Let It Blump” che mescola il nuovo corso con romantici scratch ai piatti e flow da Mc old school, ma numeri come “Pump It Up” e “Let Me Fix My Weave” sembrano soltanto un’accozzaglia di sirene e sample da giungla urbana, con la Elliott che a tratti pare aver perso la profondità lirica che l’aveva sempre contraddistinta fino a quel punto.
Due anni dopo sarebbe arrivato invece The Cookbook (2005), sesto e ultimo disco di Missy Elliott. Ancora una volta la copertina anticipa l’ennesima svolta stilistica. La Elliott imbraccia un microfono d’antiquariato in un locale anni 20 per anticipare un disco che si pone come obiettivo principale di riconnetterla alle radici della musica black. Dedicato agli antenati che, come ha sottolineato la stessa Elliott in numerose interviste, hanno sempre cantato, che si trovassero in una piantagione o in una cucina, The Cookbook riporta la sua autrice a strutture hip-hop e r&b più canoniche, debitamente influenzate da jazz, gospel e soul.
Anche in questo caso, la mole del materiale proposto, che insieme ammonta a ben un’ora e due minuti, non riesce sempre a garantire la giusta qualità e a mantenere dunque alta l’attenzione. Invero, a fronte di alcuni ottimi momenti, stiamo parlando del disco meno interessante e avvincente di Missy Elliott in assoluto.
Excuse me sir, oh gosh you look young
But old enough to get it to get yo' head sprung
Sit down relax, it's soft here on my couch
Or give me hands strictly you might get turned out
Supa Dupa Fly (The Goldmind/Elektra, 1997) | ||
Da Real World (The Goldmind/Elektra, 1999) | ||
Miss E... So Addctive (The Goldming/Elektra, 2001) | ||
Under Construction (The Goldmind/Elektra, 2002) | ||
This Is Not A Test (The Goldmind/Elektra, 2003) | ||
The Cookbook (The Goldmind/Atlantic, 2005) |
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