Missy Elliott

Missy Elliott

Queen of rap

Attiva sin dalla prima metà degli anni 90, con oltre 40 milioni di dischi venduti, Melissa Arnette Elliott è la donna del rap ad aver venduto più copie nella storia. Ma è anche tanto, tantissimo altro

di Michele Corrado, Antonio Silvestri

Difficile identificare un profilo che abbia segnato l’hip-hop al femminile, e nella sua interezza, quanto quello di Missy Elliott, also known as Misdemeanor, al secolo Melissa Arnette Elliott da Pourtsmouth, Virginia. Queen of rap, epiteto che abbiamo scelto come titolo per questa nostra monografia, è soltanto uno dei tanti appellativi dei quali la stampa anglofona ha insignito la rapper e produttrice americana. Tra gli altri, ricordiamo anche Queen e First Lady of hip-hop. Forse soltanto Beyoncé Giselle Knowles, molti anni dopo, avrebbe avuto un'eco paragonabile alla sua.
La sua carriera ha segnato un cambiamento per il modo in cui ha abbracciato la body positivity e la sex positivity, nonché per il modo in cui ha imposto una nuova immagine della donna nel mondo hip-hop, arrivando al pieno controllo della sua opera e del suo messaggio senza scadere nei modelli predominanti di bomba sexy o essere androgino. A differenza di tante rapper e gruppi rap femminili precedenti, Missy Elliott si è imposta come un colosso dell’industria musicale, una magnate capace di muovere i fili di un music business da sempre in mano agli uomini.

A livello stilistico, il suo modo di unire il messaggio con il divertimento, la tecnica con l’emozione e la tradizione con il sound più futuristico ne fa un esempio di poliedricità raro nella musica tra i due millenni, nonché un modello per le future carriere di Nicki Minaj, Cardi B e Doja Cat. La continuità tra cantare e rappare, che è ben presente nei suoi album, e l’uso massiccio dell’elettronica nei beat sono elementi ravvisabili nei suoi primi album, anche grazie al contributo fondamentale di Timbaland, e hanno verosimilmente rappresentato un’influenza per molta della musica r’n’b, hip-hop e pop-rap degli anni Zero e Dieci. Persino i video musicali di Missy Elliott hanno portato al mondo qualcosa di diverso, e abbastanza fuori di testa, da lasciare un segno indelebile nella cultura pop.
Tutto questo potere è stato alimentato, oltre che dagli entusiasmi della critica, da un ampio successo di pubblico, anche in quella parte di Stati Uniti fino ad allora più lontana dall’hip-hop, quella lontana dalle megalopoli costiere. Con un totale di oltre 40 milioni di dischi venduti è ancora oggi la rapper di maggior successo di sempre.

Ma Missy Elliott è stata cruciale anche come autrice per terzi e come produttrice: basterebbe citare il secondo, straordinario disco di Aalyah, “One In A Million” (1996), in mezzo a un elenco di decine di collaborazioni. Disco che la Elliott non soltanto ha prodotto, in compagnia del succitato Timbaland, ma del quale ha scritto diverse tracce e al quale ha prestato una valanga di backing vocals e frammenti rap.
La musicista di Portsmouth è stata ed è attivissima anche come stilista e nel mondo del cinema, sia come autrice di canzoni e colonne sonore: come non citare la sua versione di “Lady Marmalade” per “Moulin Rouge!” (2001) di Baz Luhrman, cantata da Christina Aguilera, Lil' Kim, Mýa, Pink.

Ha esperienza come attrice e doppiatrice. È impegnata come attivista per i diritti della comunità nera, delle donne e degli animali. Ha vinto oltre 200 premi, tra cui 15 Mtv Video Music Awards, 9 BET Awards e 7 Grammy. È stata la prima rapper donna a essere inserita nella Songwriters Hall Of Fame e nella Rock And Roll Hall Of Fame.
Nell’agosto del 2017 è stata portata avanti persino una petizione per dedicarle una statua nella natia Portsmouth ma, per adesso, deve accontentarsi di una via intitolata a lei, “Missy Elliott Boulevard”. E di questa monografia.

Dal coro della chiesa a Supa Dupa Fly

missycorpo1Classe 1971, la Elliott nasce a Portsmouth, nella stessa Virginia di Pharrell Williams e dei Clipse, di fatto contribuendo a posizionare sulla mappa della musica hip-hop e r’n’b uno Stato altrimenti solidamente legato alla tradizione country di Patsy Cline, della Carter Family e del Golden Gate Quartet, ma anche a quella blues e jazz di Ella Fitzgerald e Robert Cray. Cresce frequentando il coro della chiesa e coltivando il sogno di esibirsi davanti alle altre persone, partendo dai familiari. La scuola non è mai stato il suo forte e la famiglia in cui cresce è schiacciata dalla povertà nonché funestata dalla violenza domestica del padre sulla madre. La stessa Elliott subisce rimane segnata da questa infanzia difficile, nonché dall’abuso sessuale che subisce da parte di un cugino.
La situazione è tanto insostenibile che a 14 anni madre e figlia decidono di scappare, alla ricerca di una vita migliore. Melissa Elliott conclude il percorso scolastico nel 1990 e fa irruzione sulle scene black nel 1991 quando fonda il collettivo rap al femminile Fayze, poi rinominato Sista. Nei suoi primi frenetici anni di attività, Missy Elliott fa la conoscenza con DeVanté Swing, per la cui etichetta Swing Mob, una sussidiaria hip-hop della Elektra, usciranno i suoi primi lavori con la crew, ma soprattutto con il produttore e futura superstar Timbaland, anche lui attivo presso l’etichetta e destinato a diventare uno dei nomi di riferimento di tutto l’r’n’b e dell’hip-hop tra i due millenni, grazie alle collaborazioni con, tra gli altri, Usher, Snoop Dogg, Jay-Z, Nas, Solange, Justin Timberlake, LL Cool J, Ludacris, Jennifer Lopez e Nelly Furtado.
Un incontro, quello tra Missy Elliott e Timbaland, che cambierà per sempre la sua carriera e la sua vita. Non soltanto Timbaland ha prodotto la stragrande maggioranza dei lavori di Missy Elliott, ma la ha fiancheggiata come produttrice per terzi, nonché, per un lungo periodo, è stato il suo compagno di vita – anche se ad oggi Missy Elliott è dichiaratamente bisessuale e predilige partner di genere femminile.

In questi primi anni, Missy Elliott fa di tutto per emergere, comparendo, a volte senza essere accreditata, nei brani e negli album altrui. Timbaland e DeVanté sono pronti a pubblicare l’esordio delle Sista, “4 All The Sistas Around Da World” (1994), ma la promozione non va come sperato e l’album viene accantonato per essere ripubblicato solo molti anni dopo, nel 2017. Col senno di poi, la mistura di r’n’b, hip-hop e soul racconta molto del contesto in cui germoglia la carriera solista di Missy Elliott: un mondo musicale dove i confini sono labili e la contaminazione è la regola. “Sweat You Down” e “Brand New” avrebbero avuto le potenzialità delle hit e alcuni degli altri brani contengono già elementi di interesse, soprattutto nelle produzioni eclettiche e nell'alternarsi di cantato e rap, anche se il disco in sostanza non c’è, con molti interludi e brani che sembrano impantanati allo stadio di bozze. Alcune canzoni, come “I Wanna Be Wit U”, rispondono a modelli di r’n’b ritriti anche per l’epoca delle registrazioni.

Supa Dupa Fly (1997), invece, sembra arrivare dal futuro, a partire dalla frenetica introduzione affidata a Busta Rhymes. La tempesta sonora, tra ritmi affollati e suoni digitali, è il terreno in cui Missy Elliott si muove agile come una pantera in "Hit Em Wit Da Hee" (featuring Lil' Kim), una fusione di sensualità e divertimento che è centrale in tutto l’album e quando, nella coda, il beat respira, se ne apprezza la sfumatura funk.
"Sock It 2 Me” (feat. Da Brat) è una bomba ormonale impazzita, con ottoni lussuriosi a contrastare un
beat martellante; a sottolineare l’istrionismo di Missy Elliott, qui più vicina al canto che al rap, i versi più affilati e veloci sono lasciati all'ospite. A chiudere un filotto sensazionale arriva uno dei capolavori della carriera, l’hip-hop alieno e futuristico di “The Rain (Supa Dupa Fly)”, affollato di suoni concreti di pioggia e tuoni, infarcito di elementi ritmici in secondo e terzo piano; la struttura circolare, allucinata di echi e voci filtrate, si accoppia perfettamente con il video ipnotico in cui la rapper veste una giacca oversize che la trasforma, grazie anche a un fish-eye, in una sorta di sensuale medusa extraterrestre.

Il resto dell'album esplora in modo più esteso questa fusione di futuristico, sensuale e fantasioso, unendo un beat frenetico a linee vocali sinuose in "Beep Me 911" (featuring 702 & Magoo) o lasciando lo spazio alla titolare per passare dal rap più serrato al canto di matrice reggae in “Pass Da Blunt” (feat. Timbaland) ma anche rallentando in una quiet storm per vocoder e suoni l'elicottero, la versione androide di una bollente ballata da lenzuola di seta. In “Izzy Izzy Ahh” la voce profonda diventa protagonista, moltiplicata dalla produzione e dalla fantasia di Missy Elliott e delle sue invenzioni al microfono.
In parallelo alla sintesi stilistica originale, Missy Elliott gioca anche con i cliché dell'hip-hop, per esempio sovvertendo la più ovvia interpretazione di “Don't Be Comin’ (In My Face)” o imitando fino alla caricatura gli ego-trip dei colleghi maschi (“I’m Talkin’”).
Salutato dalla critica contemporanea come una boccata d'aria fresca rispetto alla faida tra East e West Coast, nonché come il manifesto estetico di un nuovo tipo di rapper donna, Supa Dupa Fly ottiene il disco di platino e impone Missy Elliott e Timbaland come una delle coppie più importanti per traghettare la musica statunitense nel nuovo millennio. Una simile sintesi, tanto ampia e azzardata, profonda eppure divertente, trova pochi paragoni, uno dei quali negli istrionici OutKast, non a caso provenienti dalla Georgia.

Rime che danno dipendenza: Da Real World e il capolavoro

missycorpo3Per il secondo album la lista degli ospiti è lunga e comprende anche Beyoncé, Eminem, Big Boi dei succitati Outkast, la rapstar francese MC Solaar e Redman. Da Real World (1999) avrebbe dovuto intitolarsi “She’s A Bitch”, come il primo singolo: un brano in cui Missy Elliott sovverte il valore negativo del termine bitch attribuendoselo orgogliosamente.
Il duetto con Eminem, all'epoca in cima al mondo della musica popolare, è un attestato di stima di prima grandezza, anche se il brano non è memorabile né particolarmente ricordato.
Troppo spesso gli ospiti portano i brani ad allungarsi abbastanza da concedere spazio ai grandi nomi che intervengono, come nel caso del funk-soul-rap miagolante di “All N My Grill” con Big Boi e Nicole Wray o “Dangerous Mouths”, dove Redman è il vero protagonista e porta in dote il suo modo di fare rap, assai meno colorato ed eccentrico di quello di Missy Elliott. L’effetto collaterale è un album dove la personalità istrionica della titolare ha meno opportunità di brillare e nel quale tale cambiamento è reso ancora più evidente da una riduzione delle idee nelle produzioni. Può sfoggiare il suo lato sensuale in “You Don’t Know” con Lil’ Mo e continuare a dimostrarsi una rapper di talento, come nell’aggressiva “Beat Biters” con la voce filtrata e rauca, ma nel complesso l’effetto travolgente dell'esordio non viene replicato: se quello fu un terremoto, questa è al massimo una scossa di assestamento.
Un po’ dell’entusiasmante pastiche elettro-futuristico dell’esordio rivive nelle contaminazioni di “Mr. Dj” (feat. Lady Saw) e nella più immediata “Smooth Chick”, con il ficcante riff di ottoni.
Il pubblico accoglie comunque in modo entusiasta questo secondo album, premiato con il disco di platino per aver superato il milione di copie vendute, e anche la critica, pur a volte rinvenendo la flessione dell'ispirazione, non manca di confermare il sostanziale e ampio supporto a Missy Elliott.

Questo supporto è ripagato egregiamente dal capolavoro della sua carriera, Miss E... So Addictive (2001), un concentrato di idee che porta a pieno compimento le intuizioni dell’esordio, adesso arricchite dalle possibilità di una carriera ben avviata. Timbaland sembra aver ricaricato le batterie e Missy Elliott è più sicura che mai dei propri mezzi come scrittrice, cantante e rapper. Se Supa Dupa Fly ne ha presentato la personalità al pubblico, questo terzo album è fondativo per un modo di intendere il rap al femminile come qualcosa di sostanzialmente differente da quanto fatto da tanti colleghi maschi. Inserito dal Guardian tra i 100 album del ventunesimo secolo e da Pitchfork tra quelli del decennio Zero, nonché da Rolling Stone tra i migliori album hip-hop di tutti i tempi, Miss E… So Addictive è l’opera definitiva di Missy Elliott, quella che diventerà anche il punto di riferimento per il resto della sua carriera.
Anche il successo commerciale è confermato, sia con il disco di platino riconosciuto all’album per la vendita di oltre un milione di copie, sia con i fortunatissimi singoli. Sorprendentemente, questo risultato non è ottenuto riducendo le ospitate ma, semplicemente, integrandole in modo più organico nei brani: Missy Elliott rimane protagonista quando canta sensualmente in "Dog In Heat" (feat. Method Man & Redman), un funk digitale che aggiorna le trovate di Dr. Dre a una sensibilità più dirty south ed elettronica, e anche nel singolo “One Minute Man”, dove rappa affiancata da Ludacris su un’ipnotica produzione zeppa di synth che avrebbe fatto contento il conterraneo Pharrell.
La titolare si cala perfettamente nel ruolo della cantante più elegante nella ballata r’n’b “Take Away”, con Ginuwine a fungere da supporto soul e con un sorprendente intervento di vocoder, ma è a suo agio anche nel beat frenetico del successo da discoteca “4 My People”, con Eve e con la cassa che batte forte in 4/4 tra battimani, synth-bass e pizzicati. Nel caso di “Watcha Gonna Do” la collaborazione con Timbaland, qui anche alla voce, è quasi un autotributo a una coppia di artisti che ha aiutato a ripensare l’hip-hop a inizio secolo.
Quando è sola al microfono, Missy Elliott è se possibile ancora più istrionica: ruggisce e grida in “Lick Shots”, variando delivery e flow con generosità, e cavalca il beat futuristico-indianeggiante del doppio-platino “Get Ur Freak On”, uno dei gioielli di Timbaland e il contenitore nel quale può mettere in mostra la sua eclettica idea di cantante e rapper; sospira svenevole e grida invasata in “Scream a.k.a. Itchin’” ma può ambientarsi facilmente nel g-funk dopato di “Old School Joint”, un’orgia di synth pigolanti e linee di basso ottantiane; ammorbidisce il suo stile per sciogliere la sua voce nell’allucinazione psych-funk di “X-tasy”. Neanche Jay-Z, nel remix di One Minute Man, le toglie granché spazio, e non è scontato, considerando la personalità che il rapper di Brooklyn dimostra dietro il microfono.

Apparantemente, all’altezza del suo terzo album nessuno la può fermare.

Who's that bitch? People you know 
Me and Timbaland been hot since twenty years ago
What the dealio? Now what the drilly, yo?
You wanna battle me, then, nigga, let me know 

 Un ritorno alle origini del rap: ricostruire l’America e se stessa

missycorpo4Trainato da tre singoli dal successo planetario come “One Minute Man”, “4 My People” (quest’ultima dal successo raddoppiato grazie allo straordinario remix dei Basement Jaxx) e, soprattutto, “Get Ur Freak On”, Miss E… So Addictive vende un quarto di milione di copie nella prima settimana di uscita, attestandosi al secondo posto della classifica di Billboard e ad oggi ha totalizzato più di due milioni di copie vendute. Mai una donna di estrazione rap e hip-hop aveva realizzato numeri del genere: Missy Elliott era sul tetto del mondo. E ci era arrivata con un disco fortemente personale e dal sound moderno, che grazie anche alla produzione di Timbaland, in quel momento un vero e proprio Re Mida, influenzò pesantemente tutta la musica black dell’epoca.
Lo segue un disco per certi versi diametralmente opposto, sulla cui direzione è chiaro quanto abbiano pesato le circostanze immediatamente precedenti alla sua realizzazione. Il 25 agosto 2001 l’amica e protetta di Missy Elliott Aaliyah perse la vita in un’incidente aereo al largo delle isole Bahamas. Pochi giorni dopo, un’altra catastrofe aerea avrebbe cambiato gli Stati Uniti d’America per sempre: gli attacchi terroristici dell'Undici settembre.

È chiaro sin dalla lunga intro che antecede l’opener dell'album, la scatenata “Go To The Floor”, che si tratti di un disco politico, quasi di un manifesto programmatico. Under Construction (2002), questo il titolo, si riferisce alla stessa Missy Elliott, impegnata dopo la morte dell’amica a elidere dalla sua vita odio e rabbia, canalizzandoli in qualcosa, per l’appunto, di costruttivo. Anche l’America, dopo l’Undici settembre, deve necessariamente passare per un processo di ricostruzione; così come il mondo dell’hip-hop, che, proclama la Elliott sempre nell’intro, deve raggiungere la consapevolezza e l’apprezzamento di altri generi e scene, come quella rock (che la rapper cita apertamente), maggiormente riconosciuta.
Per questo processo di ricostruzione così importante e totalizzante, Missy Elliott e Timbaland non possono che ripartire dalla old school, ricorrendo dunque a suoni meno moderni di quelli ascoltati nel disco precedente e campionando a mani basse nomi storici come Run Dmc e Method Man - quest’ultimo chiamato a un featuring in “Bring The Pain”. Anche per la copertina, Missy Elliott abbandona influenze spaziali e futuristiche e sceglie invece di farsi immortalare seduta vicino a un muro di mattoni e a un mangianastri, un quadro degno di un film di Spike Lee.

If it's 9 to 5 or shaking your ass (Aha)
Ain't no shame, ladies do your thing (C'mon)
Just make sure you ahead of the game

Con le apparizioni di 50 Cent, TLC, Ludacris e dei coniugi Carter, Jay-Z e Beyoncé, Under Construction è una parata di star festosa e partecipata, ma anche consapevole e impegnata. I groove delle varie “Back In The Day”, “Hot” e “Can You Hear Me” sono irresistibili e i loro vocals sinuosi e suadenti; episodi più stradaioli, come “Gossip Folks” e “Slide”, presentano battiti e andamenti più ossessivi che sospingono i momenti più gangsta del rappato della Elliott, sempre dannatamente a suo agio quando c’è da tirar fuori le unghie.
Impossibile poi non citare “Work It”, semplicemente uno dei brani rap più famosi di sempre, una banger destinata a influenzare qualunque donna in futuro avesse deciso di cimentarsi con una mina hip-hop del genere – ne sanno qualcosa anche le contemporanee Doja Cat, Nicki Minaj e Megan Thee Stallion.

Under Construction manca forse un po’ della carica innovatrice che permeava il suo predecessore, ma è un album privo di cedimenti che, con due milioni e centomila copie vendute, avrebbe superato il record di vendite di Missy Elliott e sarebbe diventato il disco hip-hop al femminile più venduto di sempre.

Acclamato dalla critica e dalla stragrande maggioranza dei suoi colleghi, il quarto disco della Elliot vanta però anche fan meno prevedibili. Fanno parte di questa categoria Nick Zinner e Karen O degli Yeah Yeah Yeahs che, intorno alla sua uscita, dichiararono di ascoltarlo per darsi la carica prima di ciascuno dei loro elettrici concerti indie.

Pubblicato soltanto un anno dopo per Elektra,
This Is Not A Test! (2003) ha un taglio completamente diverso, anche questa volta anticipato brillantemente dalla copertina: Missy indossa un lungo cappotto di pelle, porta al guinzaglio due imponenti molossoidi e dietro di lei torreggia un mezzo militare con carrozzeria mimetica e grossi pneumatici.
Quello che ci troviamo davanti non è tra i suoi lavori migliori, penalizzato com’è da una durata di oltre un’ora che non sempre compensa la fatica con la qualità. Tuttavia, la svolta stilistica verso
beat aggressivi e toni pienamente dancehall ha comunque dato alcuni frutti notevoli. Certamente “Bomb Intro/ Pass That Dutch”, con i suoi battiti possenti e l’elettronica a raggi laser, e la coatta ma pregnante “Ragtime Interlude/ I’m Really Hot”, ma è tutta da ballare anche la deliziosa “Keep It Movin.”, la quale può contare su aromi electro-swing e sull’inflessione ragga di Elephant Man.
È interessante anche una “Let It Blump” che mescola il nuovo corso con romantici
scratch ai piatti e flow da Mc old school, ma numeri come “Pump It Up” e “Let Me Fix My Weave” sembrano soltanto un’accozzaglia di sirene e sample da giungla urbana, con la Elliott che a tratti pare aver perso la profondità lirica che l’aveva sempre contraddistinta fino a quel punto.

Due anni dopo sarebbe arrivato invece
The Cookbook (2005), sesto e ultimo disco di Missy Elliott. Ancora una volta la copertina anticipa l’ennesima svolta stilistica. La Elliott imbraccia un microfono d’antiquariato in un locale anni 20 per anticipare un disco che si pone come obiettivo principale di riconnetterla alle radici della musica black. Dedicato agli antenati che, come ha sottolineato la stessa Elliott in numerose interviste, hanno sempre cantato, che si trovassero in una piantagione o in una cucina, The Cookbook riporta la sua autrice a strutture hip-hop e r&b più canoniche, debitamente influenzate da jazz, gospel e soul.
Anche in questo caso, la mole del materiale proposto, che insieme ammonta a ben un’ora e due minuti, non riesce sempre a garantire la giusta qualità e a mantenere dunque alta l’attenzione. Invero, a fronte di alcuni ottimi momenti, stiamo parlando del disco meno interessante e avvincente di Missy Elliott in assoluto.

Excuse me sir, oh gosh you look young
But old enough to get it to get yo' head sprung
Sit down relax, it's soft here on my couch
Or give me hands strictly you might get turned out

Tolte dunque l’immancabile banger ad alto tasso elettronico e bassi da far tremare i muri “Lose Control”, nonché la calorosa e mesmerica “My Struggles” in compagnia di Mary J Blige e Grand Puba, The Cookbook è un avvicendarsi di brani certamente piacevoli, ma mai capaci di graffiare, ipnotizzare o accalappiare con un groove assassino, come è lecito aspettarsi dalla Elliott. La consueta giocosità di Missy, suo marchio di fabbrica sin dagli esordi, sembra peraltro sommersa da una produzione seriosa e riesce a trasparire soltanto nelle rime più divertenti della ballad hip-hop “Meltdown”.

Lo stesso anno Missy Elliott pubblicò anche il suo primo Greatest Hits intitolato Respect M.E., per poi dedicarsi da quel momento in poi solamente al ruolo di produttrice, mentre lentamente il mondo hip-hop le ha tributato sempre più diffusi omaggi.

In attesa del settimo album: la carriera da produttrice, le collaborazioni e Iconology


missycorpo2_01Un settimo album, sul quale si è iniziato a lavorare nell’ormai lontano 2007, non è mai arrivato. I fan si sono dovuti accontentare di alcuni singoli, pubblicati tra il 2008 e il 2012, che hanno reso l’attesa se possibile più faticosa. Il lavoro come produttrice, invece, ha dato grandi soddisfazioni e le ha permesso di rimanere connessa al mondo hip-hop, fino a essere chiamata in causa come ospite d’onore da, tra gli altri, le Pussycat Dolls (“Whatcha Think About That”, 2008), Demi Lovato ("All Night Long", 2011), J. Cole ("Nobody's Perfect", 2012), il trio Busta Rhymes - Chris Brown - Lil Wayne (il remix di "Why Stop Now", 2012) e soprattutto, nella versione remix di "Last Friday Night (T.G.I.F.)", da una delle popstar più famose degli anni Dieci, Katy Perry. Altre comparsate non fanno che titillare i suoi ascoltatori, con un picco all’altezza del Superbowl halftime show del 2015, quando si esibisce insieme proprio a Katy Perry: lo spettacolo viene visto da 118,5 milioni di spettatori negli Stati Uniti. Sempre nel 2015 si ritorna a parlare del settimo album, tale Block Party, sempre con Timbaland e con il supporto anche di Pharrell Williams. Un singolo con quest’ultimo, l’esplosiva "WTF (Where They From)", arriva al pubblico a novembre 2015.

“Pep Rally”, un singolo promozionale del 2016, e una comparsata nel terzo album di Charlene “Tweet” Keys continuano a suggerire un ritorno che, sostanzialmente, non si concretizza. Nel frattempo, sempre nel 2016, persino Michelle Obama la coinvolge nel brano “This Is For My Girls”, dove compaiono anche Kelly Clarkson, Janelle Monáe e Zendaya. Il singolo “I’m Better” (2017) e l’ospitata in “Borderline” di Ariana Grande, nel 2018, e in “Tempo” di Lizzo, nel 2019, continuano a mantenere viva la sua presenza nella scena musicale, nonostante non pubblichi un album da oltre un decennio.
A parziale compensazione di tanta attesa, arriva solo Iconology, un Ep di cinque brani, inclusa una versione a cappella, pubblicato nel 2019: si ambienta facilmente nella trap di “Throw It Back” e nella danza frenetica di “Cool Off”, rallenta nella più docile “DripDemeanor” (feat. Sum1) e rievoca la fine del millennio con l’r’n’b digitale di “Why I Still Love You”, ma nulla è granché sorprendente né all’altezza dei suoi classici. Le comparsate proseguono anche negli anni più recenti, senza che l’ipotesi dell'arrivo di un nuovo album si faccia nuovamente credibile, così il modo migliore per godersi la sua creatività è ripercorrerne la carriera.

Missy Elliott

Discografia

Supa Dupa Fly (The Goldmind/Elektra, 1997)

Da Real World (The Goldmind/Elektra, 1999)

Miss E... So Addctive (The Goldming/Elektra, 2001)

Under Construction (The Goldmind/Elektra, 2002)

This Is Not A Test (The Goldmind/Elektra, 2003)
The Cookbook (The Goldmind/Atlantic, 2005)
Pietra miliare
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