Pusha T - Clipse

Pusha T - Clipse

La cavalcata del cocaine cowboy

Racconti di droga e malinconia, per scardinare lo stereotipo del gangster dal cuore di ghiaccio. Dagli esordi con il fratello alle più recenti consacrazioni di critica e pubblico, ripercorriamo la cavalcata del cocaine cowboy

di Antonio Silvestri

Raccontare la carriera di Terrence LeVarr Thornton, che ha scelto l'esplicito nome d'arte Pusha T (da push-a-ton, spacciare una tonnellata) significa ricostruire il modo in cui l'hip-hop a tema criminale, violento e stradaiolo è andato a ibridarsi con soluzioni produttive creative e innovative, sulla carta assai lontane dal racconto autobiografico di spaccio e criminalità.
La storia del rapper è, però, anche un altro modo per descrivere la gabbia sociale in cui sono confinati alcuni statunitensi: una trappola da cui non sembra possibile uscire vivi, che può anche garantire successo e ricchezza ma non porta al benessere personale, neanche dei pochi che diventano milionari.
Così, ai racconti gonfi di cocaina si alternano squarci malinconici o veri e propri messaggi suicidi, scardinando lo stereotipo del
gangster dal cuore di ghiaccio. Dagli esordi con il fratello nei Clipse alle più recenti consacrazioni di critica e pubblico, passando per il ruolo centrale di Pharrell Williams e Kanye West, ripercorriamo la cavalcata di colui che si autodefinisce un cocaine cowboy.

Fratelli in affari: il duo Clipse (1999-2010)

 

pushatcorpo1Terrence LeVarr Thornton nasce nel 1977, nel Bronx, ma cresce a Virginia Beach, Virginia, con il fratello Gene Thornton. Entrambi spacciano, per il dispiacere dei genitori, ma dal 1992 sono anche un duo hip-hop chiamato Clipse.
A credere in loro da subito è Pharrell Williams, anche lui di Virginia Beach, di quattro anni più grande di Terrence. Con il duo Neptunes (insieme a Chad Hugo), Williams è destinato a diventare un nome importante dell'hip-hop di fine millennio, attraverso una formula
crossover che unisce r'n'b, elettronica e hip-hop senza disdegnare sconfinamenti pop e rock.
A inizio decennio, però, nessuno dei tre ha una carriera particolarmente solida e sono tutti giovanissimi. I nomi d'arte di Terrence e Gene portano i segni di questa condizione anagrafica: Terrar e Malicious (poi cambiato in Malice, poi, molto più tardi, in No Malice).
Con l'aiuto di Pharrell Williams, l'unico che può ritenersi inserito nel giro che conta, riescono a strappare un accordo con l'Elektra, la quale tuttavia decide di parcheggiare l'album in magazzino, ritenendolo ben poco promettente.

 

Exclusive Audio Footage, che sarà pubblicato solo nel 1999 e inizialmente per vie non ufficiali, è la fotografia di un tentativo andato a vuoto: la label li ha già scaricati, il singolo "The Funeral" non sfonda e il sound scelto da Pharrell Williams, che cura la produzione, frulla beat tra il formulaico e il trascinante senza particolare continuità. Fiaccato da un esagerato numero di interludi, ben cinque, e da una durata che meritava almeno una sforbiciata di una ventina di minuti, la scaletta di ben 20 brani (21 con "The Funeral") fatica a essere digerita anche a causa di un content non particolarmente ispirato.
Qualcosa della formula è, in prospettiva, un'anticipazione della carriera ufficiale e almeno "Get Caught Dealin'" è già affine al modello dominante del resto della discografia: immancabile ospitata di Pharrell Williams, produzione eccentrica con un ronzante
riff funk e riferimenti assortiti alla vita criminale. E proprio le produzioni sono, pur con diversi passaggi a vuoto e dettagli da limare, il principale motivo per recuperare l'ascolto di questo lost album (in particolare, "Taiwan To Texas", "Stick Girl", "Feel Likes Me").

Il vero esordio, quello pubblicato per la Star Trak dei Neptunes, si chiama
Lord Willin' (2002) ed è praticamente una collaborazione dei due fratelli con Pharrell Williams e Chad Hugo: l'intera produzione è curata dai Neptunes e Pharrell Williams compare come ospite in ben sei brani.
A differenza dell'acerbo predecessore, questa volta gli ingredienti si amalgamano al meglio in un esplosivo e curioso hip-hop che prende a prestito dall'estetica
bombastic del southern-hip-hop, ammicca spesso e volentieri al soul e al funk, brilla in creative soluzioni negli arrangiamenti e nei beat. Anche il rap è di un'altra categoria, più agile su velocità in generale più moderate, che permettono una migliore adesione al groove. A spiccare è soprattutto Pusha T, che rispetto all'esordio ha cambiato pelle, maturando un delivery più rilassato, sicuro di sé, mentre la pronuncia si è fatta più scandita. L'alternarsi delle due voci, comunque, è un gradito elemento di dinamismo nei brani, questa volta sfruttato secondo schemi meno rigidi.
I brani che conquistano dal primo ascolto sono numerosi: la fanfara guidata da una lunga linea di basso di "Young Boy", con il coro ficcante, e l'inno identitario "Virginia", disciolto in una psichedelia erotica degna degli OutKast; la melodia gocciolante e il beat riverberato di "Grindin'" (presente anche in due remix) che sfiorano la crunk e il gancio soul su pianoforte jazzy di "Cot Damn"; il pop-rap a due voci di "Ma, I Don't Love Her" (con Faith Evans) e l'esuberante cacofonia electro di "When The Last Time"; l'atmosfera onirica e le percussioni caraibiche di "I'm Not You", con il triplo contributo di Roscoe P. Coldchain, Styles P e Jadakiss.

Con ironia e un pizzico di follia, Lord Willin' mischia le carte dell'hip-hop di inizio millennio, coniugando riferimenti vintage, spacconate gangsta e slanci ballabili, stravaganze sonore e contaminazioni inaspettate. Quasi a fine scaletta arriva "Gangsta Lean", forse l'esperimento più difficile da inquadrare: braggadocio da manuale, un ossessivo giro di archi classicheggianti, il continuo contrappunto dei vocalizzi di Pharrell Williams e una cornice costituita da un'apertura e una chiusura che cambiano totalmente stile, imitando un hardcore-hip-hop più tradizionale.
I singoli "Grindin'" e "When The Last Time" ottengono buoni piazzamenti in classifica e attirano gli entusiasmi della critica. Ottenuto il disco d'oro per il mezzo milione di copie vendute,
Lord Willin' ha nel tempo avvicinato la cifra simbolica del milione, rappresentando un successo commerciale tutt'altro che scontato per un duo che è partito con un album rifiutato dalla propria casa discografica.

 

Per il successivo Hell Hath No Fury (2006), ritardato da altri problemi con la casa discografica, la formula viene perfezionata, con le produzioni dei Neptunes che suonano sempre fantasiose e futuristiche. Il duo di rapper è al massimo della forma, rodato e affiatato nell'alternarsi al microfoni per snocciolare testi arroganti ma sempre mitigati da autoironia e alcuni spunti che, sotto traccia, raccontano qualcosa di più di un semplice elenco di punch line.
"Momma I'm So Sorry", con una fisarmonica a sfidare i
sub-bass e la filastrocca gocciolante di "Mr. Me Too", con vocalizzi sensuali e synth robotici, sono l'ideale apertura di una scaletta che stupisce anche con ll'opulenza orientale dell'arrangiamento ipnotico di "Wamp Wamp (What It Do)", con l'onirico scampanellio su beat minimale di "Ride Around Shining" e con l'ossessiva melodia lo-fi di "Dirty Money".
In "Hello New World" l'intero arrangiamento è affogato in droni minacciosi, contrastati da un rap acuto e cantilenante che è uno dei tanti tocchi di classe che Pharrell Williams, Pusha T e Malice spargono nell'album.
Chiuso da una "Nightmares" che abbraccia un r'n'b vecchio stile, ed è forse più uno sfizio di Pharrell Williams che dei due rapper, Hell Hath No Fury ottiene discreti riscontri commerciali e conferma i consensi della critica, che spesso e volentieri tratterà quest'album e il precedente come opere importanti per l'hip-hop del periodo.

Proprio a causa dei succitati problemi che hanno ritardato la pubblicazione di
Hell Hath No Fury, i quali porteranno all'allontanamento dei Clipse dalla Jive, i due fratelli inaugurano una serie di mixtape che rappresenta il loro ultimo, importante progetto. Si circondano degli amici di sempre, collettivamente conosciuti come Re-Up Gang, un quartetto formato da Malice, Pusha T, Ab-Liva e Sandman. Dj Clinton Sparks funge da host.

 

We Got It 4 Cheap, Volume 1 (2004) definisce i confini stilistici della serie, tra produzioni scintillanti e qualche ruvidità tipica di un prodotto grezzo. Le strumentali prese in prestito vanno da LL Cool J a Nas, passando per quella “Drop It Like It’s Hot” di Snoop Dogg che i Neptunes hanno contribuito a trasformare in uno dei singoli hip-hop del decennio. Anche in questo mixtape, e in realtà in tutta la serie, Pharrell Williams è spesso un membro aggiunto della formazione.

 

L’asticella si alza di molto con We Got It 4 Cheap, Volume 2 (2005), che rilegge una serie di brani ancora più eclettico, dai Mobb Deep agli OutKast, fotografando al meglio l’abilità dei due fratelli e degli amici accorsi in loro aiuto nell’animare qualsiasi beat come se vivesse, tra le loro mani, una nuova vita.
Alcuni brani sono all’altezza delle canzoni ufficiali più blasonate del decennio, come la versione di “Hate It Or Love It” originariamente di The Game o “Elevators (Me & You)” dei succitati OutKast trasformata per l’occasione in “Maybe”. Nel continuo sovrapporsi di conosciuto e inedito si sviluppa uno dei più riusciti
mixtape di metà decennio, una dimostrazione di come il formato possa rappresentare una vetrina del talento dei rapper, fuori dalle logiche dell’industria musicale e più in linea con la strabordante fantasia nelle rime di Pusha T e Malice, qui in grande forma.

 

We Got It 4 Cheap, Volume 3 (2008), che cita in copertina i Fugees, vede la partecipazione di Dj Drama al posto di Dj Clinton Sparks. Per quanto la ruvida energia dei primi volumi continui a fluire nei venti brani in scaletta, e il susseguirsi di brani strumentali editi fornisca una tavolozza su cui i rapper possono intervenire sfoggiando le ultime trovate metriche e nuove punch line, l’impressione è che si tratti soprattutto della riproposizione di una ricetta che è già stata affinata nel secondo volume. D’altronde questo terzo capitolo arriva in un altro momento della carriera, quando la spinta creativa si è già affievolita.

 

La Re-Up Gang, cioè il quartetto protagonista della serie, riassume il meglio del trittico su Re-Up Gang The Saga Continues (2008), nello stesso anno in cui pubblica anche il suo unico album ufficiale, Clipse Presents: Re-Up Gang, sostanzialmente un buco nell’acqua che porta lo spin-off a essere velocemente accantonato. D’altronde, anche il singolo “Fast Life”, per quanto coinvolgente nella sua estetica, è in realtà un prodotto dei soli Clipse: non proprio un buon segnale. Per i più curiosi, comunque, almeno “Been Thru So Much”, con la sua melodia ascendente, può valere l’ascolto.

 

Con il presupposto dei primi due album ufficiali, è facile comprendere il minore entusiasmo riscontrato da Til The Casket Drops (2009). Prodotto da un team invece che dai soli Neptunes, è una raccolta di brani assai meno fantasiosi e che, nei contenuti e nella creatività, soffre di una generale stanchezza, già avvertita sul mixtape preparatorio Road To Til The Casket Drops (2008).


Dal 2010 i Clipse sospendono la loro attività come duo. Torneranno insieme solo nel 2019, nella "Use This Gospel" di Kanye West. Nello stesso anno Pusha T partecipa a uno dei singoli hip-hop del decennio, "Runaway" (triplo platino in patria; 91esima miglior canzone di sempre secondo l’aggregatore Acclaimed Music): è l'inizio della sua carriera solista.

Lo spacciatore malinconico: Pusha T solista (2010-2022)

 

pushatcorpo2Pusha T sembra da subito destinato a una carriera solista dall’alto potenziale: il passato con i Clipse, l’amicizia con Pharrell Williams e Kanye West, la partecipazione a un singolo epocale e una serie di altre comparsate durante il 2010 alzano l’hype alle stelle. Il primo singolo, “My God”, compare su internet prima della pubblicazione ufficiale, arrivata solo il 24 agosto 2011.
Nel frattempo Pusha T firma per la Def Jam e pubblica un primo
mixtape, Fear Of God (2011) con ospiti quali Kanye West, 50 Cent, Rick Ross, Pharrell Williams e Kevin Cossom. Lo stile arrogante delle produzioni, stratificate e assordanti, trasforma la scaletta in un assalto dai contenuti gangsta con la musica che si muove tra bassi rombanti southern e ritmi più ballabili, spesso affini alla trap (“I Still Wanna” con Rick Ross e Ab-Liva, “Raid” con 50 Cent e Pharrell Williams, “Speakers Goign Hammer”). Una parte della scaletta è di freestyle.
A queste canzoni muscolari fanno da contraltare alcune escursioni in una malinconia gangsta come “Feeling Myself” (con Kevin Kc Cossom), “Open Your Eyes” (con un campionamento di “Bohemian Rhapsody”) e soprattutto “Alone In Vegas” (prodotta da Nottz), il primo brano da solista che merita di entrare nei suoi classici: un organo giocattolo che suona su un beat minimale, mentre un testo dolceamaro è snocciolato con un delivery confidenziale.

 

Parte dei brani pubblicati confluiscono in Fear Of God II: Let Us Prey (2011), che possiamo considerare l’album d’esordio nonostante sia ufficialmente un Ep di 12 brani e 45 minuti. Peccato che prevalga l’aspetto più trionfale e kitsch rispetto al più peculiare intreccio di braggadocio ed emotività notato sul mixtape, relegato alla sola “Everything That Glitters” (feat. French Montana).
Il ronzante synth di “Trouble On My Mind” è comunque uno dei colpi di classe dei Neptunes e può vantare la collaborazione di Tyler, The Creator: è l’unico brano aggiunto rispetto al mixtape che meriti particolare attenzione.

 

Un secondo mixtape, Wrath Of Caine (2013), con ospiti quali Rick Ross, French Montana, Popcaan, Travis Scott, Troy Ave, Kevin Gates, Andrea Martin e Wale e produzioni firmate Kanye West, Young Chop, Jake One e Neptunes, continua a sfoggiare esaltanti inni da criminali prestati al rap, come la robotica e biascicata “Blocka” o la trap malinconica di “Road Runner”.
Come accade spesso, è un brano prodotto dai Neptunes a spiccare: il rap senza fiato di “Revolution”, anche se Pusha T è scatenato pure su “Only You Can Tell It”, costruita su sample tipicamente chipmunk-soul. Il dolente reggae di “Take My Life” (con Andrea Martin), su cui Pusha T rappa le sue rime alla cocaina, è un altro dei momenti più creativi.
Nel complesso
Wrath Of Caine sembra ancora lontano da mettere a frutto le possibilità del rapper americano, disperdendo energie in una scaletta che conta alcuni brani ancora grezzi creati per raccontare senza filtri la sua street life perspective.

L’occasione perfetta sembra arrivare con My Name Is My Name (2013), un album prodotto e pubblicato da Kanye West, per il quale le forze in campo sono faraoniche: per i beat arrivano anche Pharrell Williams, The-Dream, Hudson Mohawke, Sebastian Sartor, Don Cannon, Swizz Beatz, Rico Beats, Mano e Nottz; al microfono intervengono, tra gli altri, Rick Ross, Jeezy, 2 Chainz, Big Sean, Future, Pharrell Williams, Chris Brown e Kendrick Lamar.
I tre brani d’apertura sono una forte affermazione di un’ambizione da superstar. L’inno autocelebrativo “King Push” definisce Pusha T come il re del cosiddetto coke-rap, con versi come:

This is my time, this is my hour
This is my pain, this is my name, this is my power
If it's my reign, then it's my shower
This pole position, I made a lane 'cause they blocked ours

Inoltre, con queste tematiche stradaiole proposte secondo un’estetica sfarzosa, evidenziata dalla produzione stratificata e solenne, Pusha T si inserisce anche nel filone della trap del periodo, più edonista e scintillante di quella inaugurata anni prima da T.I..
A questo inizio autocelebrativo segue un creativo, ipnotico brano come “Numbers On The Board”, con una meccanica e cacofonica produzione condita da urla campionate e coretti demenziali. Il terzetto iniziale è concluso da un pop-rap con Chris Brown, “Sweet Serenade”, che richiama le sofisticate creazioni di Kanye West: un
beat minimale reso suggestivo da cori fantasmatici, un ritornello cantato dai toni spettrali e il contrappunto di strofe in cui Pusha T alterna un flow scuro e amaro a frangenti più rabbiosi.

Nel resto della scaletta c’è spazio per esplorare l’aspetto malinconico di questa vita criminale, in “Hold On” e nell’atmosferica ed emotiva “40 Acres”, con il ritornello che sconsolato dichiara “I'd rather die, than go home” e si chiude con un chiaro riferimento politico allo schiavismo statunitense: è l’aspetto più elaborato della sua rap persona, che così trova un collegamento anche con l’emo-rap negli anni in cui questo stile si appresta a entrare nel mainstream (diventerà fondamentalmente emo-pop-rap a fine decennio, con artisti come Post Malone, dopo essere transitato dai successi di Drake e Future).
Questa sfumatura malinconica chiude l’album, nel curioso gioco di equilibri di “S.N.I.T.C.H.”, con un ritornello blues e accenni trap usati per raccontare di un amico che decide di fare l’informatore. La tensione che attraversa la canzone è ben rappresentata dal ripetersi lamentoso del ritornello cantato da Pharrell Williams, ideale trasposizione di una telefonata ricevuta da Pusha T:

Sorry, nigga, I'm tryna come home
Sorry, nigga, I'm tryna come home
Well, the walls are talkin' to me and I know you think I'm wrong
But, sorry, nigga, I'm tryna come home, hey!

Con un colpo di classe produttivo, la voce risulta afflitta da una eco sospetta, a suggerire che la telefonata in questione stia venendo ascoltata da qualche poliziotto (“Now when the phone start to clickin', your words start to echo”). La produzione di Nottz, costruita intorno a una affilata chitarra elettrica, in “Nosetalgia”, con Kendrick Lamar, è l’occasione, invece, per un devastante uno-due al microfono tra due rapper d’eccezione: è una delle canzoni che soddisfa l’ambizione ascoltata nell’opener e dà l’impressione di trovarsi davanti a una consacrazione.
Nonostante alcuni brani minori (la minimale “Suicide”; il duetto con Kelly Rowland in “Let Me Love You”; la confusa trap di “Who I Am” e “Pain”)
My Name Is My Name (2013) è la prima, vera, conferma del talento di Pusha T solista, dopo alcuni mixtape e un album-non-album che suggerivano il potenziale senza esprimerlo. A fiaccarlo è una sovrabbondanza di ospitate e produzione, che spesso toglie attenzione al protagonista e titolare, un aspetto ironico per un album fortemente identitario a partire dal titolo.

 

Dopo poco Pusha T annuncia in un’intervista l’arrivo del secondo album ufficiale, King Push – Darkest Before Dawn: The Prelude (2015), sempre sotto l’ala protettrice di Kanye West e con un assortimento di ospiti e soprattutto produttori ancora più imponente: The-Dream, Kanye West, ASAP Rocky, Ab-Liva, Beanie Sigel, Kehlani e Jill Scott intervengono al microfono; poi Baauer, Deafh Beats, Boi-1da, Donald Davidson, Frank Dukes, G Koop, Honorable C.N.O.T.E., Hudson Mohawke, J. Cole, Mario Winans, Metro Boomin, Milli Beatz, Nashiem Myrick, Q-Tip, Sean C & LV, The-Dream, Timbaland, Yung Dev e, ovviamente e nuovamente, Kanye West.
In teoria, dovrebbe essere un’anticipazione del terzo album, Daytona, che avrebbe dovuto intitolarsi “King Push”: questo spiega il prelude del titolo. La sfida è quella di mantenere insieme lo spirito novantiano, duro e gangsta, in equilibrio con le produzioni piene di synth e arrangiamenti stratificati. L’impatto di questo sound è fisico, mentre i testi mettono ancora una volta in mostra i racconti esaltati ed esaltanti di Pusha T, che, conoscendo i suoi punti di forza, decide di pubblicarne alcuni in anticipo sul sito di lyrics più famoso al mondo per l’hip-hop, Genius.
Nel singolo “Untouchable”, che campiona Notorious B.I.G., dimostra questa capacità di essere arrogante e ricercato allo stesso tempo:

Yuugh, I drops every blue moon
To separate myself from you kings of the YouTube
I am more U2, I am like Bono with the Edge

Tra ganci pop-rap degni del miglior Kanye West, come in “M.F.T.R.”, e stilosi esercizi di hardcore-hip-hop raffinato da Jay-Z tipo “Crutches, Crosses, Caskets” è chiaro che Pusha T punti ad affermarsi con questo album come una rapstar di prima grandezza, che possa aspirare a un successo globale e trasversale.
Nel buffet compare anche una stravaganza come "Got Em Covered" (feat. Ab-Liva), scritta anche dal succitato Jay-Z e prodotta da Timbaland e Milli Beatz inseguendo un ficcante scoppiettìo ritmico.
Ma se King Push mostra un rapper in piena forma, il suo limite sta proprio in questa volontà di centrare vari target senza per questo sviluppare un discorso più ampio, a livello estetico e narrativo.
In dieci brani e 33 minuti totali si ascolta un magniloquente trailer dove sfilano nomi famosi e produzioni spettacolari, senza che arrivi qualcosa di più compiuto, un gruppo di brani che abbia i crismi dell’opera che segna un’epoca, fosse anche nel suo genere. Parte dell’enorme potenziale di Pusha T sembra ancora inespressa, persino soffocata dalle aspettative e dall’iper-produzione.

Il seguito è un terzo album che rovescia la struttura di King Push: dove quello annunciava in modo tronfio un album che non sarebbe arrivato mai, abbondando di guest e produttori, Daytona (2018) sceglie la via di una scaletta minimale, affida l'intera produzione a Kanye West e limita le ospitate. Non è esattamente un album umile, piuttosto maggiormente a fuoco e coerente. Al centro, più di tutto il resto, c'è Pusha T.
Nel primo dei soli sette brani sparsi in appena 21 minuti totali, "If You Know You Know", il rapper inizia a snocciolare rime su un beat scheletrico, prima che sub-bass e un sample vocale completino l'arrangiamento: è un'inversione dei piani, con il rap che rimane protagonista e guida il brano, mentre la pur eccentrica produzione con stralci chipmunk rimane al servizio di Pusha T.

Il blues con ottoni di "The Games We Play" cambia contesto sonoro ma continua a esaltare l'abilità al microfono del titolare, impegnato in un flusso di rime che non trova ritornelli, all'insegna di una densità sorprendente. Alza appena il piede "Hard Piano", con Rick Ross come ospite e un gancio soul a fungere da ritornello, ma "Come Back Baby" ritorna a concentrarsi sul rap: le strofe sono separate da interludi vintage, tagliati brutalmente come si trattasse di un'interferenza radiofonica.
Il capolavoro è la preghiera gotico-latina di "Santeria", caratterizzata da una melodia maledetta di chitarra elettrica e un gospel oscuro che squarcia il centro del brano. Il contrasto tra il geometrico rimare di Pusha T si contrappone alle sinuose linee vocali di 070 Shake; nella seconda parte, seguendo una logica che deve qualcosa persino al prog-rock, le due anime si fondono.
Daytona è salutato dalla critica e dal pubblico come uno degli album dell'anno. Rimanendo saldamente nella cultura hip-hop, e ruotando sul tema delle droghe tanto caro alla trap di moda (anche in Italia), riesce a distinguersi e ad affermare Pusha T come uno dei massimi nomi della scena. Compare tra i preferiti dell'anno di numerose riviste e webzine e sale in alto in molte classifiche nazionali, dalla Norvegia al Canada, passando per gli Stati Uniti.

 

È una formula vincente, quella di Daytona, che il quarto album It's Almost Dry (2022) perfeziona ed espande: la produzione è affidata sia a Kanye West sia a Pharrell Williams; i brani sono dodici, con una densità simile all'album precedente; le ospitate aumentano senza togliere il ruolo da protagonista a Pusha T (Kanye West, Jay-Z, Pharrell Williams, Kid Cudi, Lil Uzi Vert, Don Toliver, Nigo, Labrinth e persino il ritorno di Malice).
L'oscuro
synth di "Brambleton" e il pulsare dei bassi di "Let The Smokers Shine The Coupes", adrenalinico missile southern-hip-hop, aprono alla grande la scaletta. Non solo le due produzioni di Pharrell Williams lasciano spazio al rapper ma anche l'assenza di ospiti aiuta a mantenere quel focus che ha reso eccezionale Daytona.
Funziona decisamente meno "Dreamin Of The Past", soprattutto perché al posto di una base minimale o comunque buona per fare risaltare la voce e le rime, Kanye West inserisce un
sample a un volume spropositato; anche quando interviene direttamente al microfono, sottrae energia al brano invece di aggiungerne.
Non è però un album che precipita nella mediocrità: l'oscura trap di "Neck And Wrist", prodotta da Pharrell Williams e con uno splendido Jay-Z, ma anche l'ipnotico ritmo tribale di "Just So You Remember", di Kanye West, sono brani di grande impatto, in cui Pusha T può aggiungere numerosi versi alla collezione delle rime più memorabili della carriera, come:

The purest snow, we sellin' white privilege
Designer drugs will turn niggas limitless
Designer clothes, these hoes losing innocence
The book of blow, just know I'm the Genesis

Lo stesso West torna a soluzioni più minimali (il carillon di "Diet Coke", l’inquietante melodia stonata di “Hear Me Clearly”), che si confermano ideali per il rapper (si sentano anche "Call My Bluff" o l'ossessiva "Hear Me Clearly" e lo stile novantiano di “Open Air”). In chiusura, “I Pray For You” punta alto, dalle parti di “Santeria”, proponendo un gospel maestoso con organo assordante, una sorta di contraddizione in musica.
It’s Almost Dry diventa il primo album di Pusha T ad arrivare primo in classifica in patria, a conferma del consenso anche del pubblico. L’evento è ancora più interessante se si considera che si tratta di un rapper che ha superato i 45 anni.

Rinato in Cristo: (No?) Malice solista (2010-2022)

 

pushatcorpo3Insieme a Pusha T, anche Malice inizia la carriera solista nel 2010. Più che la musica, però, il punto di partenza di questo percorso è una vicenda personale: Gene Elliott Thornton Jr. si converte al Cristianesimo, come racconta anche nel libro “Wretched, Pitiful, Poor, Blind & Naked”, e decide di cambiare nome alla luce di questo, da Malice a No Malice.
La religione diventa il tema centrale dei suoi album:
Hear Ye Him (2013) abbandona quindi lo stile aggressivo di un tempo per ispirarsi al messaggio biblico, purtroppo con produzioni di seconda categoria e senza particolare creatività; non andrà meglio neanche con Let The Dead Bury The Dead (2017), più breve e forse meno ispirato, il quale mette idealmente fine alla carriera solista.

 

Quando ritorna in It’s Almost Dry del fratello, nel 2022, è registrato come Malice, ponendo al pubblico il dubbio che gli anni del fervore religioso siano in qualche modo giunti a termine.

Pusha T - Clipse

Discografia

CLIPSE
Exclusive Audio Footage(Elektra/Star Trak, 1999)
Lord Willin'(Star Trak/Arista, 2002)
We Got It For Cheap, Volume 1(mixtape, Re-Up, 2006)
We Got It For Cheap, Volume 2(mixtape, Re-Up, 2006)
Hell Hath No Fury(Star Trak/Re-Up/Jive, 2006)
We Got It For Cheap, Volume 3(mixtape, Re-Up, 2008)
Presents: Re-Up Gang(come Re-Up Gang, Koch, 2008)
Road To Til The Casket Drops(mixtape, 2008)
Til The Casket Drops(Star Trak/Re-Up/Columbia, 2009)
PUSHA T
Fear Of God (mixtape,GOOD/Re-Up, 2011)
Fear Of God II: Let Us Pray (mixtape, GOOD/Decon/Re-Up, 2011)
Wrath Of Caine(mixtape, GOOD/Re-Up, 2013)
My Name Is My Name(GOOD/Def Jam, 2013)
King Push – Darkest Before Dawn: The Prelude(GOOD/Def Jam, 2015)
Daytona (GOOD/Def Jam, 2018)
It's Almost Dry (GOOD/Def Jam, 2022)
MALICE
Hear Ye Him(Reinvision, 2013)
Let The Dead Bury The Dead(Reinvision, 2017)
Pietra miliare
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