Non saranno più rimaste parole, a giudicare il titolo prescelto per il suo quarto album, eppure Lucy Rose ne ha tante da pronunciare, taglienti come lame appena affilate. Sono parole semplici, che non si nascondono dietro elaborate figure retoriche, possiedono però la forza di un'onestà bruciante, di un dolore troppo importante per rimanere confinato a lungo. Realizzato in un periodo di profonda crisi personale della cantautrice, “No More Words” è uno straziante rituale di auto-esorcismo, l'ultima di infinite sessioni di terapia in musica tese a tirare fuori le insicurezze, i dubbi e i rodimenti interiori, la confusione di una libertà ottenuta a carissimo prezzo: un'operazione di scavo, che rappresenta il propellente di un album capace di oscurare tutta la discografia precedente della musicista. Ennesima dimostrazione di quanto i tormenti personali siano un carburante privilegiato per la creazione artistica, la nuova raccolta dell'autrice britannica porta alle estreme conseguenze la spoliazione folk già avviata con “Something's Changing”, alla luce di una classicità di tratto che qui diventa esaltazione, di scrittura in primis, anche e soprattutto di composizione, per un progetto tanto minimale quanto densissimo di spunti. Per quanto tormentato, il nuovo profilo di Lucy Rose possiede un fascino che incatena.
And I'm afraid and I'm scared and I'm terrifiedSta in questi tre versi di “Treat Me Like A Woman”, disarmanti nel loro raggelante crescendo di terrore, il nucleo lirico del disco, il sentimento più profondo che ne permea i trentacinque minuti. In una malinconia che pare non dover conoscere termine, raccontata con un'asciuttezza priva di appigli pietistici, Lucy Rose imbastisce un altare alla propria sofferenza, scaglionato in undici episodi senza tempo e collocazione, che non esitano ad ammantarsi di una finissima aura classica.
That these things won't ever change
For all of my life
29/05/2019