Questo concerto è un evento bellissimo per me. Questi musicisti sanno davvero di cosa parlano le mie canzoni, ma allo stesso tempo hanno creato un modo completamente nuovo di mettere insieme la mia musica.
Mi sento così onorato e grato
(Robert Wyatt, marzo 2019)
Venire a conoscenza di un tributo a Robert Wyatt non può che dare un immenso piacere a chi ha amato la scena di Canterbury e i suoi discepoli. Entrare nell’universo creativo di Robert Wyatt è senza dubbio un’esperienza che lascia il segno, questo accade non solo per noi comuni fruitori delle sette note, ma anche per i musicisti, che hanno inserito spesso suoi brani nelle loro scalette live, fino a concepire concerti imperniati quasi completamente sulla musica del musicista di Bristol. E’ accaduto già nel 2011, quando le sorelle Unthanks furono costrette a mettere su disco le loro eccitanti performance del repertorio dell’ex Soft Machine (“Diversions, Vol. 1”), con un disco che diede peraltro inizio ad una serie di album tributo da parte del noto gruppo folk.
Nato da un idea di John Greaves e del leader della North Sea Radio Orchestra, Graig Fortman, “Folly Bololey” prende origine da un’unica esibizione live tenutasi in esclusiva mondiale il 30 novembre del 2018 nel salone del Conservatorio Giuseppe Nicolini di Piacenza, in verità ultima di una serie di esibizioni che nell’ultimo decennio Greaves e compagni hanno portato in Europa sotto il marchio Rock In Opposition. Ed è sempre Greaves che ha coinvolto Max Marchini e l’etichetta Dark Companion per tradurre in progetto discografico il prezioso evento. Graig Fortman insieme ai fidi Harry Escott (violoncello), Nicky Baigent (clarinetto e clarinetto basso), l’ex membro dei Cardiacs, William D. Drake (piano, Farfisa e voce), Laurent Valero (violino e flauto basso), Luke Crookes (fagotto) e Cheb Nettles (batteria), quest’ultimo preso in prestito dai Gong, ha messo a punto una formazione a sette della NSRO, alla quale si sono aggiunti l’ex Henry Cow John Greaves, il percussionista Tommaso Franguelli e la cantante piacentina Annie Barbazza. Chi ha temuto che l’iniziativa crollasse sotto il peso dell’effetto nostalgia, può tirare un sospiro di sollievo ed abbracciare senza indugi il trionfo della musica di Robert Wyatt e dell’eccellente performance dei musicisti, peraltro lo stesso autore ha avuto parole d’encomio.
Il corpo principale del disco-concerto è l’album “Rock Bottom”, riproposto integralmente con un misto di riverenza e attenzione alle sfumature che offre una fedele rilettura dello spirito agrodolce delle sei tracce originali. Sobrietà e ascetismo rendono poco traumatica l’assenza della chitarra di Mike Oldfield, del basso di Richard Sinclair, e di tutti gli altri eccellenti musicisti presenti nell’album del 1974, la North Sea Radio Orchestra offre una lettura affascinante applicando gli standard della musica classica piuttosto che quelli tipici del rock. Le vibrazioni intense del violino che allargano gli orizzonti lirici, già ampi, della superba “Sea Song”, la leggiadria folk-prog di “A Last Straw”, e quel pizzico d’energia che arruffa “Little Red Riding Hood Hit The Road“ sono già di per sé sufficienti a rendere “Folly Bolely” un ascolto obbligato, senza tacere poi della grande prestazione vocale di Annie Barbazza (Greg Lake era un grande ammiratore dell’artista italiana). C’è un momento particolarmente magico in “Rock Bottom”, ed è quando la sequenza “Alifib”/“Alifie” trasforma suoni e parole in un unico linguaggio poetico estremo, tra dicotomie emotive e fisiche che mettono in crisi memorie e speranze, ed è questo forse il passaggio più complesso da rimettere a nuovo per la North Sea Radio Orchestra. Ed è qui che si avvera la perfetta alchimia tra i musicisti e la musica di Robert Wyatt, la tensione sale, passato e presente si annullano, dissonanze ritmiche ed armoniche si rinnovano, e la magia ritorna in scena. Poco importa che la rilettura di “Little Red Robin Hood Hit The Road” sacrifichi sull’altare della resa live le suggestive tonalità oniriche della concertina di Ivor Cutler per una più epica interazione di basso, piano, chitarra e voci, “Rock Bottom” viene consacrato sull’altare della storia e reso immortale. Non c’è ragione per liquidare “Folly Bolely” come una semplice appendice ad un capolavoro della musica moderna, oltretutto c’è ancora tanta carne al fuoco, una versione atipica e interessante di “The British Road” (da “Old Rottenhat”), un incantevole performance vocale in “Maryan” (da “Shleep”), una sempre piacevole “Shipbuilding” (inclusa in “Nothing Can Stop Us" ma scritta da Elvis Costello) e una delicata versione cantautorale di “O’ Caroline” con John Greaves alla voce (brano tratto dal primo album dei Matching Mole).
Confrontarsi con uno dei lavori più acclamati dalla critica non deve essere stato facile, ma la reinterpretazione intera di “Rock Bottom” - grazie alla perizia dei musicisti, alle voci di Annie Barbazza e John Greaves, e soprattutto grazie alla conoscenza approfondita dei veri motivi che spinsero Wyatt a cercare un album tanto potente (la metafora marina della rinascita, risalita verso la salvezza dopo la paralisi) - rendono “Folly Bololey” un lavoro commovente, che non tradisce affatto le intenzioni originali del compositore inglese, anzi ne rinnova il fascino a favore delle nuove generazioni.
08/07/2019