Che il nuovo album solista di Thom Yorke non sia l’ennesimo tassello della routine che ha caratterizzato in parte la carriera solista del leader dei Radiohead, è evidente già dalle premesse di “Anima”. Un progetto annunciato e distribuito con una metodologia più convenzionale, in contrasto con la pubblicazione di “Tomorrow’s Modern Boxes”, all’epoca licenziato in prima istanza nel solo formato digitale.
“Anima” è il secondo lavoro di Thom Yorke legato a un film. Non è però una colonna sonora sulla linea di “Suspiria”, ma un vero e proprio compendio al film del regista Paul Thomas Anderson. Non è dunque un caso che brani come “Last I Heard (...He Was Circling The Drain)” e “The Axe” siano carichi di suggestioni visive forti e intense, al punto da evocare illustri maestri del passato (Wendy Carlos su tutti).
E’ evidente che il musicista di Wellingborough non avverta la necessità di una verifica o di una direttiva che renda più comprensibile il percorso a ostacoli intrapreso nell’ultimo decennio. Artista dotato di stile e personalità, Thom Yorke sembra voler assecondare le altrui suggestioni che colpiscono la sua immaginazione. “Anima” è un dichiarato omaggio alla musica di Flying Lotus, e l’elettronica da prezioso orpello si trasforma in linfa vitale per le nove ansiose e frammentarie composizioni.
Algido, mai del tutto a fuoco, il nuovo album trova nel progetto collaterale “Atom For Peace” il referente ideologico e creativo più affine. Malinconia e paranoia vanno infatti di pari passo, disturbate da beat elettronici che sembrano voler accennare un passo di danza (il dubstep di “Traffic”) o da un hit single rimasto nel cassetto (“Impossible Knots”).
Dietro l’angolo ci sono le consuete tematiche apocalittiche (le ripercussioni del riscaldamento globale sulla salute mentale dell’umanità, l’inconscio e i sogni come chiave di lettura dell’animo umano), ma anche tante piccole intuizioni, come l’ossessivo beat affogato nel coro di voci di “Not The News”, che fanno di “Anima” il progetto più completo e autonomo concepito lontano dalle maglie dei Radiohead.
L’approccio all’elettronica di Yorke e Godrich (corresponsabile a pieno titolo, nonostante non figuri come autore) è artigianale, ricco di dettagli e sfumature. A volte la materia prima sembra sfuggire dalle mani, ma c’è un senso di compiutezza che alla fine permette all’ascoltatore di percepire l’anima oscura del progetto.
Anche se il disco richiede un ascolto completo e non frammentato, ci sono almeno un paio di episodi che brillano di luce propria. Basta infatti una sola nota ,“Dawn Chorus”, per far sì che Yorke crei una delle più struggenti canzoni del suo repertorio, ed è al contrario una festa di suoni e virtuosismi il mantra psichedelico-afro-elettronico di “Runwayaway”: autentica perla di un progetto dalle mille sfaccettature.
Distopia, paradossi, intuizioni e astrazioni, interpretazione dei sogni, esistenzialismo, apatia, reazioni emotive, oscurità, fallimento della politica, suicidio e morte: sono solo alcune delle vibrazioni che Yorke ha citato in qualche rara intervista, ed è anche il linguaggio che viene agevole associare ad “Anima”. Ma al di là delle ambizioni e delle premesse creative puramente ideologiche, questo è il set più convincente della sua carriera da solista.
23/07/2019