Erano ricomparsi dopo quindici anni d’assenza Ian Cooper e Paul Hammond. Un periodo troppo lungo per riconciliare il pubblico con gli Ultramarine, band inglese per la quale Simon Reynolds coniò l’ossimoro di pastoral-techno.
Con “This Time Last Year” (2013) il duo aveva dimostrato di possedere ancora personalità e stile; mancava giusto un po’ di quell’azzardo che in passato lo aveva spinto a collaborare con Robert Wyatt, Elton Dean, Kevin Ayers, Lol Coxhill, David McAlmont e Jimmy Hastings. Ed è proprio nella contaminazione che risiede il fascino di “Signals Into Space” (tra gli altri Andy Ramsay ex-Stereolab), un album che fonde elegantemente improvvisazione e musica pop.
Gli Ultramarine si confermano degli abili architetti del suono, con un progetto che merita un ascolto minuzioso: è infatti consigliabile l’ascolto in cuffia. La formazione approda in casa Les Disques Du Crépuscule, un’etichetta ricca di ricordi e suggestioni. L’effetto nostalgia è reso ancor più intenso dalla collaborazione con la musicista americana Anna Domino, autrice di ben cinque album (1984-1990) per la prestigiosa casa discografica belga.
Mai inclini a essere catalogati in maniera univoca, gli Ultramarine combinano il fascino dell’elettronica con il folk, il prog, il jazz, il funky e il Canterbury sound, restando elegantemente in bilico tra ambient e techno. Una logica alla quale non sfugge neanche “Signals Into Space”, perfetto esempio di surrealismo musicale, dove ogni elemento creativo mira a stimolare immagini e suggestioni tra realtà e sogno: groove dalle timbriche cristalline che duettano con la voce di Anna Domino nell’incantevole “Spark From Flint To Clay”, o misticismi tribal-jazz “Arithmetic” la cui eleganza rimanda a “Sweet Revenge” di Ryuichi Sakamoto.
E’ affascinante come Cooper e Hammond tengano insieme le tante anime del progetto, come accade nel piccolo gioiellino funk-reggae-jazz “$10 Heel”: un eccitante pop alieno cesellato dal sax di Iain Ballamy (Loose Tubes), dalla voce di Anna Domino e dalle percussioni di Ric Elsworth, adagiate su un ipnotico tempo di drum-machine.
Piacevoli esotismi proiettati in un futuristic-balearic (“If Not Now When?”, “Breathing”), landscape eterei (“Equatorial Calms”, “Du Sud”), romanticherie in chiave techno/bossanova (“Elsewhere”) e creazioni tanto originali quanto indefinibili (“Cross Reference”) scorrono con una naturalezza impressionante, in un flusso sonoro la cui sensualità è liquida, inafferrabile e inebriante.
“Signals Into Space” non è un semplice ritorno di fiamma, ma un incandescente nuovo capitolo di una band che rischiava di cadere nell’oblio.
P.S. Per chi acquista l'album sul sito della label è possibile acquistare il mini-cd "Meditations", con due lunghe composizioni ambient.
17/06/2019