Dodici giorni. È questo il tempo scelto dagli Autechre per lanciare a sorpresa "Plus", il secondo album del 2020. Se "SIGN" ha entusiasmato gli animi per una serie circoscritta di motivi, legati tanto alla sua inaspettata "lunghezza" quanto alla sua "fruibilità" retroattiva, "PLUS" apre un ulteriore varco in cui dimenarsi allegramente.
I due alfieri dell'ambient-techno hanno di fatto stupito ancora una volta la platea alla propria maniera, generando reazioni a catena sugli eventuali scenari a monte dell'operazione. Sul web è apparso finanche una versione unificata dei due album, trattati alla stregua di uno "Zaireeka" qualunque. Un'ipotesi stuzzicante, vista la resa complessiva, ma per molti aspetti improbabile, data la difficoltà di mantenere fede al suono originale durante la sovrapposizione. Di certo, con loro due tutto resta ormai possibile.
Insomma, neanche il tempo di assorbire un'opera volubile, connessa tanto al passato quanto al presente, e rieccoci alla prese con nove nuove partiture della premiata ditta inglese. Gli interrogativi sono ancora una volta tanti. Della serie: Sean Booth e Rob Brown hanno forse deciso di inaugurare una serie musicale che sezioni la loro smania alle macchine? O si tratta di mero marketing attuato con lo scopo di rinvigorire un'attenzione ultimamente confinata fin troppo a certe nicchie? Potrebbe anche trattarsi più semplicemente di due dischi dissociati tra loro e liberati come cani sciolti nelle immense praterie digitali dell'industria discografica - l'uscita in formato fisico è infatti prevista solo per il 20 novembre 2020.
Questioni di lana caprina che si sciolgono dopo le prime due tracce, "DekDre Scap B" e "7FM ic": nove minuti scarsi di frattaglie, rimbalzi e derapate che solo loro possono azzardare, o quasi. Un avvio contorto che precede le frequenze disturbate miste a beat in vaghissima scia dub di "marhide". Il tutto prima che torni in auge lo spettro di una mancata comunicazione con il mondo, avvalendosi nello specifico di modulazioni che sembrano uscite dal catalogo Ghost Box. Come se John Brooks flirtasse con i Boards of Canada, per farla breve.
Tutto ciò potrà suonare strano, vero? E no, non c'è proprio nulla di insolito. Siamo, in fin dei conti, al cospetto di un concept al solito articolatissimo, esternato a livello grafico ancora da Designers Republic con cerchi dai contorni flemmatici e colorati, quasi a voler emulare la corona solare. Fotoni, appunto, che si stagliano nell'esosfera elettronica dando vita a un'esperienza unica. E se tra vent'anni qualcuno decidesse di riprendere la drum and bass, rivisitandola con gli arnesi del momento, otterrebbe con buona probabilità qualcosa come "X4".
Inafferrabili e parimenti maestosi, gli Autechre procedono spediti e senza badare a nulla nei tre movimenti conclusivi, tra i quali spicca l'accelerazionismo ritmico di "TIM1 open", ovvero i Minilogue mandati in giro per lo spazio con un propulsore ionico.
"PLUS" amplia dunque lo sguardo ultra-distaccato ma in qualche modo follemente umano di Booth e Brown. Nell'attesa di una "nuova" sorpresa, tutto il resto è per la seconda volta nel 2020 solo sano chiacchiericcio.
05/11/2020