Quella di Cristiano Pizzuti è da sempre un’istigazione a essere “indie”, perché l’integrità artistica è una prerogativa seria, è una scelta, non certo una contingenza. E anche se nel tempo ha scritto qualche traccia vagamente più “radiofonica”, il profilo umbratile delle sue composizioni mette al bando qualsiasi ipotesi di potenziale edulcorazione, qualsiasi tentativo di arrivare per forza a più persone. Non che dispiaccia essere apprezzati, per carità, ma i Black Tail hanno sempre cercato di fare esattamente quello che volevano fare, e oggi seguono il medesimo percorso in maniera ancor più ferma.
Questo per dire che “You Can Dream It In Reverse” si presenta come il disco più “difficile” della band laziale, peraltro pubblicato nel periodo più complicato che l’Italia si è trovata ad affrontare dalla fine della Seconda Guerra Mondiale. “Del resto – Cristiano cerca di scherzarci su per sdrammatizzare il momento – un po’ ce la siamo cercata, sai, già l’anno bisestile, poi la scelta di pubblicare di venerdì 13 (marzo)”.
Speriamo che alla prossima occasione non escano in contemporanea con l’impatto fra un asteroide e il pianeta Terra. Ma i ragazzi, nonostante il Covid-19 e il blocco totale di tutte le operazioni sull’intero territorio nazionale, hanno deciso di non posticipare l’uscita del loro terzo album. “La pubblicazione era pianificata da tempo – ci ha confessato Pizzuti – e appena ci siamo resi conto della gravità della situazione ci siamo chiesti come affrontarla. Mentre molte persone stanno contrastando l’emergenza svolgendo servizi di pubblica utilità, senza avere scelta, penso a chiunque sia in prima linea in questi giorni, la maggior parte di noi si trova impossibilitata a fare qualsiasi cosa se non attenersi alle regole imposte dalle autorità politiche e sanitarie. In momenti così difficili è importante avere dei motivi per non dimenticare la propria umanità, e la musica può contribuire a schiarire almeno un lembo dell’attuale oscurità. Non che uno debba ritenere che la propria musica possa avere il potere di migliorare le giornate delle persone, però di sicuro è l’unica cosa che possiamo davvero provare a fare”.
Il coraggio di non posticipare, pur nella consapevolezza che promozionare il disco con le modalità abituali non sarebbe stato possibile, e chissà fino a quando. "Non potremo fare i consueti release party – prosegue Pizzuti - e abbiamo dovuto spostare tutte le date del tour fin qui fissate, ma presto tornerà il momento di ritrovarsi, magari ancor più motivati e consapevoli. Vedo che si stanno moltiplicando iniziative di ogni tipo, la musica ha questo di bello: trova sempre un modo per arrivare dove deve. Inizialmente stavamo organizzandoci per allestire un live in studio e una diretta dalla sala prove. Ma con l’estensione della Zona Arancione e le conseguenti limitazioni negli spostamenti, queste opzioni sono divenute impraticabili. Molti artisti vedo che stanno pubblicando video di brani registrati a distanza, noi invece rimanderemo le esecuzioni dal vivo al momento in cui potremo di nuovo stare insieme nella stessa stanza. Noi siamo qua, nonostante tutto, e probabilmente pianificherò qualche breve apparizione online, per suonare qualche nuovo brano”. In Rete si stanno creando due schieramenti contrapposti: alcuni stanno criticando le dirette dai social, ritenute un mezzo per promuoversi sfruttando il momento di dolore; altri invece ritengono di diffidare da chi ha freddamente calcolato di rinviare tutto al futuro per trarne maggior vantaggio, perché ora l’attenzione non potrebbe essere su di lui.
Nel bel mezzo di questo inatteso caos, “You Can Dream It In Reverse” prosegue la saga Black Tail mantenendo i medesimi elementi distintivi dei precedenti capitoli, ma esaltandoli all’ennesima potenza, con un inglese mai scontato, privo di qualsiasi facile slogan, arricchito da quel sound figlio della migliore Americana che vi possa venire in mente, e un songwriting che rivela solidi collegamenti con le esperienze di Wilco, Elliott Smith e Sparklehorse. Una scrittura che non trova uguali nella nostra penisola, rendendo il quartetto una realtà dal respiro profondamente internazionale.
L’introspezione e la malinconia trovano placide conferme in brani come “Sequoia” e “The Great Comet Of 1996”, così densi di arpeggi, mentre “Late Summer” porta in dotazione chitarre vagamente surf che fanno tanto nostalgia sixties.
A “Not OK” spetta il compito di alzare un tantino i giri, evidenziando lo spirito “indie” mai sopito, ulteriore componente del mix stilistico della band laziale. Ma il brano da ricordare questa volta è senz’altro “China Blue”, con le sue istantanee di vita metropolitana, posto non a caso in apertura, una piece in tre atti condensata in appena sei minuti, con tanto di cavalcata chitarristica finale molto Nels Cline. Le code strumentali, del resto, sono una costante per quasi tutta la durata del disco, tanto da divenire un’altra caratteristica distintiva del gruppo. Tutte le chitarre sono suonate da Cristiano, stese sulla base ritmica predisposta come al solito da Roberto Bonfanti (batteria) e Luca Cardone (basso).
Con i precedenti “Springtime” e “One Day We Drove Out Of Town” le nove nuove tracce firmate Black Tail formano un trittico di rara bellezza e sensibilità. Una continuità di rendimento che si rivela sempre più stupefacente per una band che preferisce sussurrare anziché alzare i toni. Relegati nella loro nicchia seminascosta, dopo aver abbandonato il bozzolo, cercano di trasformarsi da crisalide in farfalla per volare verso un più largo consenso. Non so perché, ma quando ho letto la recente autobiografia di Jeff Tweedy, “Let’s Go (So We Can Get Back)”, pensavo proprio ai Black Tail e a quanto possa essere diversa la vita a seconda del posto nel quale ti capita di nascere. Tweedy nacque in provincia, ma era pur sempre una provincia nel bel mezzo degli Stati Uniti d’America, e non è poco, perché lì non è mai davvero impossibile riuscire ad avere successo, riuscire a diventare "qualcuno". Ne sono convinto: arrivassero dal Midwest degli States, i Black Tail oggi sarebbero un culto di fama mondiale...
19/03/2020