Un lungo periodo di silenzio non è riuscito a cancellare il marchio di artista one-off-single per Bruce Hornsby, nonostante avesse salutato il nuovo millennio con un ottimo album "Halcyon Days" e una crescente fama di musicista in cerca di nuovi stimoli creativi. Folk, jazz, bluegrass, r'n'b e musica contemporanea sono apparse come per incanto in un percorso a ostacoli culminato nel disco della rinascita "Absolute Zero" (Bruce Hornsby ha suonato con i Grateful Dead, Jack DeJohnette, Ricky Skaggs e Bon Iver e scritto musiche per Spike Lee).
Con un piglio a metà strada tra Randy Newman e Van Dyke Parks, e una versatilità musicale ricca di curiosità e fascinazione per le altrui doti artistiche, Hornsby dà seguito al suo recente comeback-album, forte di un patrimonio compositivo tenuto nel cassetto per anni, a partire dall'esemplare soul-blues con tanto di sitar "Anything Can Happen" che il musicista aveva registrato con Leon Russell prima della sua scomparsa (novembre 2016).
L'aliena funky dance "Bright Star Cast" ospita in un solo colpo Jamila Woods e Vernon Reid (ex-Living Colour) confermando l'impegno di Hornsby nel misurarsi con molti linguaggi contemporanei, peraltro stimolato dalla presenza-non presenza dietro le quinte di Justin Vernon, le cui ingegnose stratificazioni vocali contaminano le voluttuose e spettrali atmosfere di "Time, The Thief".
La collaborazione con il regista Spike Lee ha invece aggiunto alla musica di Hornsby un tono narrativo evocativo e cupo, che a qualcuno ricorderà alcune cose di Peter Gabriel in salsa minimal-neoclassica ("Cleopatra Drones") o Peter Hammill alle prese con una partitura di Nico Muhly ("Non-Secure Connection"), fermo restando il riconoscibile timbro pianistico del piano del musicista americano.
Impossibile non pensare a Randy Newman durante l'ascolto della malinconica e intensa ballata "The Rat King", un'influenza che campeggia anche nelle esoteriche dissonanze alla Van Dyke Parks di "Porn Hour", anche se la sfida più audace è quella che sottintende i cinque minuti e trenta secondi di "Shit's Crazy Out There", dove le influenze si addensano sforando il progressive rock più criptico (mi ha ricordato non poco "The Thin End Of The Wedge" dei Procol Harum).
Con tanta carne al fuoco, "Non-Secure Connection" si espone a giudizi e valutazioni non sempre positive, ma per chi avrà la forza e l'immaginazione per affrontare un atipico e interessante viaggio nei linguaggi possibili della musica pop e rock, il nuovo disco di Hornsby potrebbe essere più di un capriccio o una curiosità intellettuale.
Superare i limiti imposti dalle regole del mainstream (peraltro abilmente riletti in "My Resolve", che si avvale della presenza di James Mercer degli Shins) è stata la più grande sfida del musicista americano. Un artista che ha sacrificato l'attitudine al pop da classifica di buon livello ("No Limits") per abbracciare con un pizzico di follia il multiforme gioco della musica.
19/10/2020