Un frizzante ed energico slancio house, un arcobaleno dopo un acquazzone estivo: un mese fa, l'atterraggio di "Give Me Another Chance" (al momento tra i migliori singoli dell'anno in corso) è stato come un fulmine a ciel sereno per chi non aveva nemmeno preso in considerazione l'idea di un possibile ritorno di Lorely Rodriguez aka Empress Of nel 2020. Poi ci si è messa "Love Is A Drug", brano dal momentaneo attacco synth-wave che presto permuta in una serrata filastrocca di sibillina ma implorante intimità fisica. Un titolo album baldazoso a dir poco - soprattutto se confrontato con i precedenti monosillabi "Me" e "Us" - e una foto di copertina pregna di un etno-glamour stradaiolo a onorarne le radici ispaniche hanno fatto il resto: quarantena o meno, questo aprile 2020 Empress Of è pronta a buttarsi in pista con anima, corpo e satinate gale di trina a corredo.
Che poi, a ben vedere, questa riccioluta newyorkese ha sempre giocato con un'idea di dance sintetica e cangiante (basti ricordare brani quali "Water Water" e "How Do You Do It") ma adesso c'è come una consapevolezza in più, acquisita dopo anni di attività musicale in quieto ma costante divenire. La tappa londinese del tour a supporto di "Us", qualche anno fa, aveva mostrato una ragazza un po' nervosa e facilmente eccitabile, ma alquanto contenta di essere sul palco a smanettare col synth e la drum machine, pronta ad abbandonarsi al proprio pubblico su pulsazioni piuttosto spedite. Le collaborazioni con Blood Orange, Khalid, Kito e MØ nel corso degli ultimi anni devono averle donato inedite prospettive e infuso una nuova dose di coraggio e vitalità, che risulta oggi in un lavoro più spinto e diretto rispetto alla graziosa ma timida ragazza del debutto risalente ormai a un lustro fa.
"I'm Your Empress Of" mostra senza problemi i suoi pregi e i suoi limiti, forte di un'immediatezza che lo rende piacevole a pelle; "U Give It Up" con i suoi rafforzi di percussioni sintetiche, "Bit Of Rain" con quel ritmo alla rincorsa, ma anche la dance dai sapori dub alla Saint Etienne primi anni 90 di "Maybe This Time" e il finale con riverberi techno di "Awful", tutte bollicine di colloquiale electro-pop semplice ma fantasioso, pronto all'uso con appena un po' di sole a far capolino.
Certo, compaiono canzoni dallo stile meticcio come "Void" e il synth-r&b "Not The One" che non rinnovano poi troppo la formula rispetto a quanto già sentito in passato. Ma soprattuto figurano un paio di momenti interlocutori - la title track e "Should've" - che distraggono dal flusso danzereccio del lavoro senza aggiungere dalla loro alcuna nuova dimensione all'economia del songwriting.
Nel complesso, comunque, il terzo album di Empress Of è un buon punto d'arrivo. Non avrà forse ancora la perfetta cesellatura dei momenti migliori di Nite Jewel e Jessy Lanza, le hit al fulmicotone di Charli XCX, la scrittura inquisitiva di cui è capace una Shura o le modernissime raffinatezze produttive di Caroline Polachek, ma con ogni uscita Lorely continua a mostrare entusiasmo e voglia di crescere. Dalla timidezza sperimentale di "Me" alle più limpide partiture r&b di "Us" per poi arrivare a questo slanciato esempio di house-pop, è come osservare il lento ma inesorabile schiudersi delle ali di una farfalla, e ritrovarla è sempre un piacere. Sperando che al prossimo colpo lasci davvero da parte ogni inibizione di troppo e si abbandoni a quella foga da dancefloor che chiaramente già le scorre nelle vene.
09/04/2020