Poco noto al di fuori dei confini patri e dell’ambiente alternative, Brun vanta innumerevoli collaborazioni con artisti underground (IRèNE, Le Bruit du [sign], Woland Athletic Club, L'Homme Avion, Batlik), è responsabile di molteplici progetti fugaci (Issam Krimi Trio , Linnake, OK), nello stesso tempo è vivamente interessato a forme d’arte interdisciplinari, come teatro (Sylvain Maurice, Mickael Serre), danza (Cie Empty) e circo (Sylvain Julien Iopido).
Elettronica e ritmi naturali sono l’humus di “Ar Ker”, disco che sposa l’imprevedibilità della sperimentazione, il rigore tecnico del jazz e la forza tribale della musica etnica.
L’enunciato artistico degli otto movimenti di questa simil-sinfonia post-indutrial è ricco di singolari alterazioni melodiche e ritmiche, sgretolate da convulse irruenze noise-rock (“Koroll”), immaginifiche progressioni tribali al limite del minimalismo e dell’ipnosi sciamanica (“Ker”), sofisticazioni elettroniche e percussive dal tono maestoso e possente che scivolano dal robotico al caos, spossandone la percezione uditiva (“Empty”).
Brun è a suo modo un visionario, capace di passare dalla magia e dalla delicatezza del suono della marimba a seguito di un canto flebile e poetico (“Bob Zarkansyèl”) alle misteriose evoluzioni ritmiche ed elettroniche dalle innumerevoli variazioni sistemiche dei quasi nove minuti di “Frozen”, manipolando senza pudore o timore, canoni espressivi angusti e concettualmente compatti.
Con “Ar Ker” il musicista francese libera il concetto di sperimentazione e ricerca, dalle asettiche gabbie culturali, ispirato da una fisicità espressiva che varca gli orizzonti e lascia una piacevole sensazione di spontaneità e ingegno creativo, oltre tutto mai frutto di sovraincisioni o trucchi avantgarde.
Un esordio fuori dagli schemi e un nome da seguire con attenzione: Sébastien Brun.
(18/10/2020)