Nata da un incontro fortuito alle 5 del mattino al soundcheck di un grande festival in India, la collaborazione tra il batterista londinese Richard Spaven e la producer di Mumbai Sanaya Ardeshir aka Sandunes prende forma a febbraio di quest’anno, con una serie di date indiane seguite da un lungo scambio di file a distanza.
I curriculum dei due sono complementari, ma lo spettro espressivo della loro unione travalica la somma delle parti. Classe 1974, Spaven è tra gli strumentisti di punta del panorama broken beat/nu jazz. Tecnico e caleidoscopico, oltre a pregevoli opere solistiche può vantare il coinvolgimento in dischi di Guru, Incognito, 4 Hero, Gang Starr, Mark de Clive-Lowe, Stuart McCallum della Cinematic Orchestra. Sedici anni più giovane, Sandunes è nel suo elemento tra tastiere e congegni elettronici, con i quali dal 2012 dell’esordio distilla sonorità liquide e luminose, reminiscenti tanto delle numerose derive post-dubstep quanto della cara vecchia Idm.
Il disco che rappresenta l’approdo della cooperazione è uscito a settembre per la rinomata etichetta berlinese !K7 Records (DJ-kicks), dura 33 minuti e conta sette tracce. Una durata esigua, che non impedisce ai paesaggi sonori creati da due di svilupparsi in tutto il loro espressivo dinamismo. Maestro del beat spezzato alla Squarepusher e della costruzione ritmica a climax, Spaven dà propulsione alle pennellate sintetiche della Ardeshir, infondendo concitazione a quelle che sarebbero altrimenti atmosfere puramente fluttuanti e meditabonde. Episodio-simbolo dello sposalizio stilistico è il singolo “Tree Of Life”, 5 minuti e 40 di ammaliante soft/loud guidato dall’irrefrenabile estro virtuosistico di Spaven. Incorniciati da svolazzi elettronici tra il suadente e il celestiale, i continui voltafaccia batteristici si innestano l’uno nell’altro come ingegnosi archi rampanti: la costruzione che ne risulta si avvita verso l’alto con uno slancio da vertigine, ma ha una leggerezza quasi sovrannaturale.
Nei pezzi la levigatezza sonora delle produzioni in studio convive con la focosità delle session improvvisative da cui sono scaturiti gli spunti compositivi. La tavolozza timbrica e il pulsare in crescendo di “Evelyn” sono studiati al minimo dettaglio, ma l’incessante gorgo di offbeat che guida l’evoluzione del pezzo ha tutta la torrenziale naturalezza dell’esecuzione dal vivo. “1759”, al contrario, è la rivisitazione di un pezzo già edito dieci anni fa (sta su “Spaven’s 5ive”, prima prova del batterista in qualità di compositore): qui è la mano di Sandunes a lasciare maggiormente il segno, dando all’articolata figura ritmica di Spaven una spazialità proteiforme che mancava nella versione originale.
Nell'improbabilità che l'esperienza di collaborazione abbia un seguito, c'è forse da augurarsi che nel tempo i due artisti estraggano dal cappello qualche outtake rimasto loro in tasca dalle date live di cui sono state tratte registrazioni. Nel frattempo, possa essere di consolazione un banale vantaggio della brevità: nell'oretta di un ordinario disco, "Spaven × Sandunes" ha tempo di sbalordire due volte.
22/12/2020