La storia o, se preferite, la leggenda dei Gang Starr nasce a fine anni 80. Guru è un Mc dotato, ma non è il flow il suo punto di forza. Guru è intelligente, scaltro, ha gusto, e decide di affidare il tappeto sonoro delle sue rime a un giovane produttore e dj di Houston. DJ Premier diverrà, con gli anni, parte integrante del gotha dell’universo hip-hop, a forza di un’invidiabile continuità quantitativa e qualitativa. Dunque, Guru e Premier formano un duo, così come Pete Rock & C.L. Smooth e, prima ancora, Eric B. & Rakim. Una formula che funziona perché permette a Mc e producer di sviluppare un racconto coeso e coerente, all’interno di un singolo album o di un’intera carriera.
I Gang Starr lanciano sul mercato, in 14 anni, 6 album. Poi, nel 2003, i due recidono il cordone ombelicale con l’obiettivo di battere strade soliste già intraprese. Come si è lasciato intendere, tra i due sarà Premier a trovare maggior fortuna: i suoi beat, ancora oggi, rappresentano la tanto agognata asticella a cui mirare. Guru, d’altro canto, sperimenterà con fortune alterne eleganti fusioni tra jazz e hip-hop. Professione a parte, dovrà vedersela con depressione e dipendenza.
La morte di Guru, avvenuta il 19 aprile del 2010, costringerà nel cassetto i dissapori figli della separazione e condurrà Premier a elaborare un metodo per chiudere l’esperienza Gang Starr con la necessaria poesia. Presto detto. Premier acquisisce, non senza polemiche che in questa sede lasceremo volentieri da parte, il possesso dei diritti su registrazioni audio inutilizzate del compianto Guru. Guru al microfono, un verso, due, frasi estemporanee.
Scegliere, accantonare e costruire il suono intorno: il compito di Premier richiede tempo. Sono passati quasi 10 anni dalla scomparsa di Guru e l’album oggetto di questa recensione viene dato alle stampe. Sedici brani, tra cui un paio di interlude di troppo in memoriam. Amici di vecchia data venuti a rendere omaggio (M.O.P. nella tuonante “Lights Out”, Jeru The Damaja nel boom-bap di “From A Distance”, Big Shug e Freddie Foxxx nella tesa “Take Flight”) giovani leve alla corte del Maestro (J. Cole nel singolo “Family And Loyalty”, in cui i citati diamanti non sono gioielli ma parole destinate ad accrescere la ricchezza di un genere che più di tanti altri si identifica in una “cultura” e con la “parola”).
Com’era lecito aspettarsi, l’album non sviluppa un racconto che lo renda, fino in fondo, solido. Le tematiche sparse affrontate da Guru nei nastri maneggiati da Premier, d’altronde, rendevano in partenza impraticabile la ricerca di un fil rouge. Si passa dall’approccio svergognato tra un uomo e una donna che confluirà in “Get Together” - con la collaborazione della sensualissima Nitty Scott - alla narrazione dei tormenti di un Mc sospeso tra la volontà di elevare il proprio messaggio e la ricerca del benessere tanto sognato (l’essenziale “Bad Name”). Dunque, una sequela di brani gradevoli, nessuno di troppo. Ciò che lega, amalgama e porta a casa il risultato è il mestiere di DJ Premier.
Basi strumentali eccellenti, talvolta violente, talvolta dolci, con violini e percussioni a farla da padrone come da tradizione. Ciò che più conta, Premier riesce nell’arduo compito di rendere la presenza di Guru tra i solchi delle sue strumentali naturale. Come se Guru fosse davvero lì in studio a registrare. Mentre, nella realtà, in studio non c’era lui ma un’urna contenente i suoi resti, tanto per non farsi mancare il tocco (pacchiano) di retorica. A ricordacelo è Royce Da 5’9’’ nel corso del magistrale verso - il migliore dell’album - che sciorina nell’ottima “What’s Real”.
Gli album postumi sono un must del genere in questione. D’altronde, poter appoggiare il registrato rap di un artista scomparso su una base nuova di zecca è la chiave per una percepita, e desiderata, immortalità. Chi scrive ritiene discutibile l’abuso di questa possibilità trasformatasi in stancante routine. Certo è che, pur con le sue smagliature, quest’album ribadisce perché i Gang Starr restano tra i massimi alfieri di un genere, di un movimento culturale, persino di una comunità. E’ hip hop che suona anacronistico. Per una volta, ben venga.
07/11/2019