Checché se ne dica, ultimamente pochi hanno diviso gli animi come Young Signorino. Quantomeno nel microcosmo trap italiano. Fin dai primi singoli, “Mh ha ha ha” e “Dolce droga”, Signorino è apparso come un cane sciolto in fuga dal proprio “canile”. Via il guinzaglio, e di corsa a rilasciare provocazioni sui cui si è speso anche fin troppo: “Satana è veramente mio padre”. Una spavalderia che muta in genio nella sopracitata “Mh ha ha ha”, il cui testo apparentemente nonsense punta a sgretolare convenzioni stilistiche in un genere che ambisce a non avere direzioni, ma che rimane inghiottito, quasi inconsapevolmente, nel proprio loop tematico. Un colpo da maestro, al netto del presunto copia-incolla della base di Sndwvs.
Signorino attira quindi in poco tempo attenzioni un po’ ovunque, grazie anche al look menefreghista e per certi versi apripista (tatuaggi sul viso etc.). E mentre la critica più attempata resta, guarda caso, inorridita, l’attento Chiambretti lo invita in Tv, così come un incuriosito Manuel Agnelli. Sono ospitate che fanno discutere, manco fosse davvero il figlio del diavolo. Un’ostilità che però finisce per accartocciarsi su sé stessa quando il pluripremiato al Tenco Vinicio Capossela chiama Signorino per una versione a due de “+ Peste”, rivisitazione de “La peste”, canzone che prende di mira web, social e via discorrendo. Una scelta casuale? Chissà…
“Calmo”, comunque, la dice lunga sulle nuove velleità di Paolo Caputo, ormai non più trapper terribile ma rapper in cerca di una propria formula cloud. Un cambio di pelle, il suo, inaspettato, e che pone diversi interrogativi sulla bontà dell’offerta. La conversione di Signorino è innanzitutto sonora, come egli stesso dichiara: “Le sonorità sono morbide, eteree e delicate, tipiche del genere cloud, che rispecchiano il mood dei testi e delle tematiche. […] Il titolo, invece, è sia un mantra, una parola che mi ripeto spesso quando ho i periodi no e quando sento che le cose non vanno come vorrei, sia come ho deciso di vivere: calmo".
Ascoltando brani come “Jet”, “La via” e la stessa title track ci si ritrova a fare i conti con un trapper melanconico. Signorino si sente solo. Cerca la propria via. Una scappatoia che finisce per monopolizzare il pacchetto. Mentre sul piano ritmico, Signorino si affida a una trillwave appagante. E gli riesce anche bene. Insegue il neomelodico, ama il francese (“Fils de Pute”), cerca la hit trap-pop dal piglio reggaeton (“Monamour”), omaggia l’autunno (“22 Settembre”). Il tutto con eccessiva semplicità, senza mai sforzarsi troppo: “Sento i clacson dei mezzi, le voci della gente. […] Mi piace il treno che passa e quindi devo aspettare. […] Scrivo sulle note del mio cell quello che provo e intorno c’è”.
In sostanza, è proprio quest’ultimo il vero punto debole del disco, al di là della verve degli esordi praticamente non pervenuta. In “Calmo”, Signorino fuma e fugge dai suoi pensieri. Si sdraia e prova a rilassarsi troppo (“Fumo e fuggo”). Tira fuori canzoni alla stregua di sedativi, interrogandosi sui motivi del proprio stress, arrivando a chiudere un diario di bordo inatteso, certamente coraggioso. Un album introspettivo alla maniera di un ragazzo che asciuga le lacrime sopra i propri face tattoo, ma che tende a vibrare meno del passato.
Dunque, viste le premesse ci si aspettava qualcosa di più. Manca soprattutto il quid ambiguo e rapace delle prime uscite. La scintilla del talento sornione e impertinente che, stando ai fatti, stavolta dividerà meno. Ben venga comunque la pace dei sensi. Almeno per ora…
22/11/2020