Era stato concepito come un estemporaneo progetto teatrale durante un corso di studi universitari a New York, ma l'artista multimediale Ojay Morgan s'è fatto scappare di mano la propria Creatura, e adesso Zebra Katz si aggira in libertà negli anfratti più oscuri dell'
underground elettronico. "LESS IS MOOR" è un disco sporco e melmoso, che si attorciglia al collo e sussurra liriche debosciate, mentre tentacoli umidicci s'infilano in ogni tenue pertugio indifeso. L'ossatura è un suono industriale noise-cibernetico, che non rinuncia tuttavia alla sudata verve ritmica delle
ballroom, una cornice entro la quale la Zebra è libera di espletare fameliche perversioni sessuali, affrontare risvolti identitari, e lanciare palate di merda contro i propri nemici - il tutto, tramite un
rap soffuso e suadente come la più gigantesca delle prese di culo. Una volta passato il primo momento di spaesamento, il risultato è elettrizzante.
Quindici tracce per soli trentanove minuti ricchi di suoni e influenze, dalla Londra di
Gaika alla Francia di Kiddy Smile al Sudafrica di
Desire Marea, per poi rientrare in America con Mykki Blanco e Shea Couleé. Menzione di riguardo per la
shit talker per eccellenza
Azealia Banks (per la quale qualche anno fa Zebra Katz apriva i concerti); è lei, infatti, il nome più noto di quest'ondata di malati mentali e froci allo sbando, personaggi incapaci di adeguarsi a qualsiasi compromesso e relegati a bordo pista dall'industria discografica, quindi paradossalmente liberi di creare una serie di lavori più freschi che mai.
Nel suo altezzoso distacco da Diva del sabato sera in discoteca, che poi è solo una maschera per tentare di nascondere la vera natura da ciabattara di quartiere pronta ad azzuffarsi per due ossa di pollo, il personaggio Zebra Katz scende in campo con lo schiaffo già pronto. Impossibile non trovarsi sedotti da un album così posticcio, efferato e divertente.
Un "INTRO TO LESS" con mitragliate
post-club degne di
Arca a mettere in chiaro il livello medio, e poi via a scorrere tutti i brani-chiave: "ISH" (demoniaco invito in pista), "LOUSY" (malaticcia cantilena da bambola seviziata), "BLUSH" (uno strisciante
trip-hop nel quale i più attenti potranno cogliere un mini-omaggio a Cassie) e "IN IN IN" (favolosa sferzata
vogue), per tacere poi di "ZAD DRUMZ" (etilica
drum'n'bitch spazzata da gelide manipolazioni digitali) e una "MONITOR" (distopia synth-pop alla "
Blade Runner") che poi si lega al deboscio lirico di "MOOR".
C'è poi un breve bozzetto di chitarra acustica che quasi separa un ideale lato B - "NECKLACE" - nel quale Zebra lascia momentaneamente da parte l'intona-rumori e le muscolature
noise per donare con inedita vulnerabilità il proprio cuore dolente. Ma è un attimo, con "SLEEPN" il baccanale riprende in grande spolvero, e tramite la seduzione in pista di un rampollo d'alta società in "UPP", si arriva presto a fine ascolto. Palma del brano migliore (dell'anno?): "LIK IT N SPLIT" in compagnia di un'impassibile
Shygirl e la co-produzione di
Sega Bodega, irresistibile momento di rara demenza lirica montato su un palleggiante ritmo ska a velocità supersonica.
Ed è tutto quello di cui c'è bisogno; Zebra Katz ha impiegato quasi un decennio per dare alle stampe un album di debutto, l'ultimo suo progetto, risalente ormai a cinque anni fa, era un Ep co-prodotto con
Leila Arab sul quale compariva addirittura un pre-debuttante
serpentwithfeet. Francamente in molti non ci speravano manco più - il brano che lo mise sulla mappa, l'affilatissimo "
Ima Read", era datato 2012. Esemplare quindi il modo in cui l'autore ha saputo filtrare tutti questi anni di aspettative e collaborazioni in un progetto nel quale suono, attitudine, immagine e finzione scenica viaggiano di pari passo. Un lavoro che confonde, ma poi inevitabilmente conquista e sfoga tutta l'energia repressa come ogni buon prodotto da pista alternativa che si rispetti. Occhio, però, che ritrovarsi in ginocchio con le mutande calate nei cessi del locale è davvero un attimo.
27/03/2020