Sbilenche partiture di pop anemico e malaticcio, ruvidi
beat di estrazione
Uk-bass, appiccicosi filamenti
folktronici, bieche confessioni omoerotiche e seduzioni sadomaso. E poi l'indolenza elettronica in
lo-fi della
trap, termine che ormai nel 2020 non concerne più solo i
rapper borbottoni, ma è un
sound liofilizzato riscontrabile tanto in nomi da alta classifica, quali
Ariana Grande e
BTS, quanto appunto nei più sozzi bassifondi dell'
underground della Rete.
Può bastare come biglietto da visita? Forse non del tutto, ma è un modo per illustrare lo strano e allucinato mondo di Salvador Navarrete, in arte Sega Bodega, musicista di Glasgow al momento di stanza a Londra, che da tempo s'infila di soppiatto con le sue produzioni negli ambienti più disparati: eccolo a fianco dell'esplosiva
Shygirl, amica stretta con la quale inciucia da anni, ma anche nei lavori di
Zebra Katz,
Cosima,
Col3trane,
Brooke Candy, e in collaborazione pandemica via Zoom con
Dorian Electra, Lapsley,
Lafawndah ed
Eartheater tra gli altri.
In un certo senso, il suono meticcio e versatile del suo album di debutto "Salvador" è chiara dimostrazione del perché la sua mano si adatti a più contesti. Sega Bodega non è necessariamente il miglior
songwriter in circolo, e le sue interpretazioni vocali sono sommesse e defilate come i primi esperimenti di fronte al microfono di
Arca e
SOPHIE; tuttavia, proprio come quest'ultime, il ragazzo rimedia con estro, imbastendo una pletora di suoni e di idee che rendono particolare ogni suo brano. Per esempio, da dove saranno usciti quegli screzi alieni che permutano "Heaven Knows" in una sorta di inferno del futuro? E tacciamo delle due filastrocche "Salv Goes To Hollywood" e "U Suck": corrosiva la prima, giovanilisticamente demente, eppure disarmante, la seconda.
Per momenti ballabili quali "U Got The Fever", o per lo meno ancheggiabili come "2 Strong", e per i sentori post-club di "Masochism" e la rabbia in sordina di "Raising Hell", ci sono infatti controparti evanescenti e quasi ambient, vedasi la tremolante ballata pianistica dai rintocchi gotici di "Calvin", la conclusiva introspezione di "Kuvasz In Snow", o anche "Smell Of The Rubber", quest'ultimo un sordido pezzo fetish che lascia davvero poco all'immaginazione dal punto di vista lirico e si presenta con una curiosa costruzione in due movimenti.
Disco strano, oscuro, liquido e volutamente sfuggente ad un ascolto distratto, eppure capace di rilasciare stranissime memorie sulla lunga distanza tramite idee e
hook di una ripetitività che scioglie le cervella. Sulle prime "Salvador" può apparire come il lavoro di un produttore che mette in mostra la propria
palette sonora in cerca di nuovi clienti, ma in verità, tra momenti più modaioli e altri più introspettivi, affiora un lirismo ibrido zeppo di personalità e fantasia, che poi è una delle principali qualità per farsi valere nell'affollata era
streaming.
Di questo passo presto potremmo ritrovarlo a fianco di chissà quali altri nomi. Una prospettiva che peraltro mette addosso una certa curiosità.
Del resto quest'anno il Nostro ha già messo la co-firma a "
LICK IT N SPLIT", bombastico ed efferato duetto di rara e volgare demenza erotica, a cura dei già citati Zebra Katz e Shygirl, a dimostrazione che, sia con un
sampler in mano che dietro alla
console di una sudatissima pista da ballo, il buon Salvador se la sa cavare con stile e massicce dosi d'ironia. Doveroso quindi annotarsi anche il suo nome sul taccuino dei produttori più interessanti del momento.
27/11/2020