La vischiosa questione delle appropriazioni culturali ha la tendenza a ripetersi, ma di questi tempi se ne parla in maniera ben più schietta rispetto a un tempo. In principio fu
Madonna, che dopo aver assistito ad un esplosivo show di
vogueing si lanciò alla composizione della sua celebre
hit, e si fece accompagnare da 6 ballerini del giro nel leggendario "Blonde Ambition World Tour" del 1990 (uscito pochi mesi fa, "
Strike A Pose" è il documentario che racconta la storia di quei ragazzi). Sempre nel 1990 ci fu "
Paris Is Burning", altro (bellissimo) documentario di Jennie Livingston che fotografava con estrema crudezza tutta la drammatica ed eccitante vita dei personaggi che frequentavano la scena
ballroom di New York, tra trionfi sartoriali, emarginazione, prostituzione e morte. E già qui le opinioni si dividono in due: c'è chi loda il fatto che gente come Madonna e la Livingston abbiano acceso i riflettori su una scena fino ad allora totalmente
underground, e chi invece lamenta il fatto che suddette personalità abbiano solo rubato senza rendere indietro (sappiamo bene come la pensa l'eminenza
queer Dj Sprinkles, autore dell'incompromissoria "Ball'r (Madonna-Free Zone)").
Quello che in molti non sanno è che la scena delle ballroom non è una moda di passaggio, e che oggi come allora le serate che si tengono in giro per l'America e altre parti del globo accolgono e fanno da famiglia a centinaia di ragazzini LGBTQ+ provenienti dai ceti più marginalizzati della società - afro- e latino-americani in primis. Con questi presupposti, la rabbia che molti di loro stanno mostrando nel vedersi tutt'oggi capitalizzati ed espropriati della propria estetica senza ricevere mai nulla indietro è, a conti fatti, condivisibile (recentemente, un orripilante video fatto da "gente della Disney" che spiegava in maniera a dir poco vacua come ballare vogue ha infiammato i social del circuito, al punto che gli autori sono stati costretti a rimuoverlo dalla rete).
MikeQ s'è fatto le ossa nelle
ballroom in qualità di dj per oltre un decennio, ma al contrario di molti all'interno della scena, il suo spirito più pratico e imprenditoriale l'ha portato a cercare forme alternative per poter espandere il verbo. Del resto il suo primo
output musicale - "
Let It All Out" (2011) - era uscito sotto la già di per sé socialmente avanzata etichetta
Fade To Mind di
Kingdom (nota ai più per l'affiliazione con
Kelela,
Dawn Richard e
Fatima Al Qadiri). Per MikeQ la fondazione del marchio Qween Beat è stato solo il naturale passo successivo, un modo per mettere nero su bianco tutto il talento che la scena ha da offrire.
Stando alle sue stesse parole, raccontate in una lunga e bellissima intervista a
Thump, gli animi di quel mondo hanno la tendenza a volare alto e a drammatizzare il tutto, ed è questo il motivo del perché "Qweendom" ha solo una traccia composta da lui; il resto raccoglie pezzi messi a punto da altri dj del circuito - tutti nomi totalmente sconosciuti al di fuori della scena, tutti nomi alquanto validi per chi la frequenta.
Cosa c'è, dunque, all'interno di "Qweendom"? Tanta attitudine, tanta passione, tanti schiocchi di dita e rumore di tacchi sul parquet. La particolarità delle tracce sta nel modo in cui sono state assemblate per complementare i passi di danza, con squadrati ed efferati ritmi electro e sample vocali ripetuti ossessivamente. Ma il tratto forse più distintivo sta nel modo in cui il dj di turno fa cadere il "crash" alla fine di ogni battuta, suggerendo ai ballerini in pista di gettarsi a terra in pose acrobatiche zeppe di pathos e drama. Il vogue è prima di tutto una forma d'espressione, il vero e proprio equivalente queer delle sfide di breakdance, ma dove quest'ultime sono una forma stradaiola ad alto tasso di testosterone, nelle ballroom vigono un affilatissimo gioco di sguardi e uno sfacciatissimo senso dell'ironia, uniti a un continuo inneggiare di espressioni tipiche del gergo (credo che termini come "yas, bish, yaaas" e "work dat pussy" si spieghino da soli).
"Legendary Childern", a cura di Byrell The Great, già mette in mostra tutte le carte, avvolgendosi sulla parola "walk" che, in questo mondo, può assumere significati diversi - concetto reiterato ancor meglio dalla qui presente "Walk" di Skyshaker e Deshaun Wesley. Il "crash" invece lo si può sentire in tutta la sua gloria su "Qween Bitch" di Beek e Commentator Buddah, un continuo sferragliare elettronico che accompagna il mantra "I feel like a lady/ I feel like a qween bitch" - arrivati alla fine del pezzo, è davvero impossibile non sentirsi come una regina. Altro momento topico è "I Chant, You Vogue" di Leggoh, il cui titolo già spiega tutto quello che c'è da sapere, mentre l'irriverente "Dope Dick Dealer" di LSDXOXO si basa su una geniale rivisitazione di "Overpowered" di
Róisín Murphy (personalità alquanto amata nel circolo). "Realness" di Ash B è sul punto di far scoppiare una rivolta, mentre dal Giappone giunge Koppi Mizrahi e il suo balbettante "Manko Backpack".
Il padrone di casa MikeQ si riserva comunque un posto di tutto rispetto, andando a scomodare il leggendario
Romanthony per una "Get Sum" a dir poco mozzafiato - tra la
deep house più
soulful e il ritmo più nervoso, 6 minuti di goduria continua.
Difficile dire quale sarà il futuro della scena ballroom e di un'etichetta di nicchia come la Qween Beat. Per il modo in cui va il mercato non si possono negare la possibilità sia di un rapido oblio sia di una commercializzazione e conseguente spersonalizzazione. Ma per adesso la scena è viva e vegeta, ed è piena di ragazzini che hanno ancora bisogno di musica sulla quale ballare e di gente come MikeQ a fare da guida paterna, sia da dietro ai piatti che attraverso le difficoltà della vita.
Potrebbe però esserci anche un lieto fine: spezziamo una piccola lancia in favore di
FKA twigs, personalità alquanto visionaria che proprio con la scena
vogue - e in particolare col suo lavoro assieme a
Imma - in questi ultimi tempi sta portando avanti una dialettica di sensibilizzazione che, invece di sfruttarne l'estetica, è tesa alla collaborazione inclusiva e alla pari. A qualcuno non piacerà neanche questo modo di fare, ma se non altro è un possibile passo avanti; la recente attenzione ricevuta dall'altrettanto settoriale scena
gqom sembra dimostrare che la contaminazione, quando non viene vissuta come espropriazione da parte di una figura dominante, ha effetti tremendamente benefici.
03/11/2016