FKA twigs

FKA twigs - Have you experienced eusexua?

Dai criptici Ep degli esordi alle complesse impalcature concettuali dei suoi album, dalla lente espansa dell'r&b all'abbraccio stravolgente dell'elettronica, con uno sguardo sempre proiettato alla trasformazione e alla comunicazione cross-mediale. Vita, mutazioni e carriera di Tahliah Debrett Barnett, i “ramoscelli” della scena indipendente britannica, portabandiera di una visione d'arte totale

di Vassilios Karagiannis

Dura la vita in provincia, specialmente se nella fredda Inghilterra. Potrebbe essere l'inizio dell'avventura di una qualsiasi band industriale dalle parti di Sheffield, ma è una realtà che accomuna tante anime dalla sensibilità artistica. Si prenda ad esempio Tahliah Debrett Barnett, nata a Cheltenham, piccolo paesino del Gloucestershire a metà tra Bristol e Birmingham. Certo, la scuola (un istituto cattolico privato con corsi di opera e balletto) e il contesto familiare (la madre ballerina e ginnasta, il patrigno appassionato di jazz) possono fornire un imprinting determinante, favorire l'emersione precoce di attitudini. Resta il fatto che vivere in una cittadina sperduta aiuta molto poco a trovare la propria dimensione, coltivare al meglio la voce interiore.
Off we go, quindi, con la decisione più semplice e allo stesso tempo più difficile possibile: lasciare il proprio paese natale e spostarsi in direzione della capitale, con la maggior età neanche compiuta. È il 2005, la temperie dance-punk sta imperversando in giro per Londra e anche la scena club sta subendo profonde trasformazioni, dalle evoluzioni del Ministry Of Sound all'emersione sempre più prepotente di dubstep e dei linguaggi ad esso correlati. In questa temperie una diciassettenne Barnett compie i suoi primi passi nella scena, concentrandosi dapprima sulle sue doti di ballerina, riuscendo a iscriversi alla prestigiosa Brit School (la scuola che ha visto sfornare le varie Adele, Amy Winehouse, Katy B) e farsi strada nella selva di personaggi e talenti che frequenta l'istituto. Sarà un graduale emergere, un ondivago fluire tra la passione primaria e il sempre più pressante desiderio di trovare la propria voce anche nella creazione musicale.
Innegabilmente la danza le consente di costruire un profilo come backup-dancer per grandi popstar e nomi sulla cresta dell'onda (sue apparizioni nei video di Kylie Minogue, Jessie J, Ed Sheeran, finanche in una parodia di Beyoncé per la Bbc), ma affiora con prepotenza l'interesse per scrittura e produzione, finora tenuto nascosto, espresso sotto forma di “demo veramente brutte” e bozzetti che avranno bisogno di tempo per trovare il loro percorso.

Space, the only thing I ever knew

ft11Dalla Brit School Barnett si sposta quindi al Croydon College per iniziare un percorso di studio nel mondo delle belle arti, e nel mentre fa le prime serie mosse come cantante. È qui, nelle sue apparizioni in giro per i locali di Soho, che fa la comparsa il nome d'arte che da lì in avanti sarà il suo biglietto da visita. Dal rumore che fanno le sue articolazioni, Barnett comincia a essere chiamata Twigs, “ramoscelli”: dritto al punto, efficace, il soprannome fa breccia, diventa un vessillo e un'armatura per la ragazza, che nel mentre sta elaborando il suo primo progetto musicale. Per l'occasione non lascia niente al caso, soprattutto mette in mostra sin da subito quello che sarà un principio cardine nella sua carriera: distribuito mensilmente con ogni brano seguito da un video di accompagnamento, EP1 sbandiera immediatamente la polivalenza multimediale della musicista, un tocco personale che si muove comodamente a cavallo tra sound, uso della voce, coreografia e comparto video.
A parlare è però soprattutto la solidità dell'impianto sonoro: in soli quattro brani, l'universo Twigs si presenta già ben caratterizzato e personale, colto al crocevia di una temperie elettronica in cui vibrano diverse correnti espressive. Gli influssi della stagione dubstep si polverizzano in un mare di tratteggi bass, come dimostra l'inno digitale “Ache”, regolato sull'ostinato vocale del ritornello, che riporta alla memoria gli esperimenti minimali di Laurie Anderson. La consistenza dei bassi diventa un punto centrale nella gestione dei brani, che sia il wonky di “Weak Spot”, tutto un serpeggiare di correnti sotterranee e sussurri segreti, oppure le asimmetrie dub di “Hide”, brano bipartito in cui la strofa, armata di chitarra psichedelica, e il ritornello, un lento scandire sopra un incessante ticchettio d'orologio, donano all'intero brano un'allure di puro mistero.
La voce di Barnett sin da ora dimostra di essere un asset imprescindibile: un soprano lieve e aereo, che sa dotarsi della pregnanza emotiva delle migliori interpreti r&b ma scendere in profondità e farsi sacerdotessa, portavoce di un femminino vibrante ed evocativo (come “Breathe” sa perfettamente enucleare). Manca forse ancora quel carattere melodico eversivo che contraddistingue le sue opere più mature, ma il progetto Twigs parte con solide premesse, EP1 è un avvincente punto di partenza su cui costruire le prove future.

He won't make love to me now, not now I've set the fee

ft2Nel mentre il mondo circostante comincia a prendere nota di Twigs, i video dell'Ep, con le loro vignette pop (il fiore di anthurium che copre le gambe di Barnett in “Hide”) e il loro carattere da video-art (la chirurgica distruzione di un veicolo per “Breathe”, la coreografia istintiva di “Hide”) fanno i giri degli appassionati, tanto che la musicista ottiene anche la sua prima copertina per la rivista i-D. Il mondo ne prende nota a tal punto che The Twigs, duo indie-pop di gemelle da Chicago attivo dal 1994, chiede a Barnett il cambio di nome. Detto fatto: con l'aggiunta di tre lettere la creatura FKA twigs (la T rigorosamente minuscola) prende forma, per non essere più modificata. Nessun riferimento a “formerly known as”, come poteva essere la principale supposizione. A Barnett interessava sfruttare delle lettere che dessero robustezza all'intero moniker, senza alcun significato nascosto particolare.

Dalla totale autonomia realizzativa arriva rapidamente il contratto con la Young (allora ancora chiamata Young Turks) e dopo soli otto mesi dall'uscita di EP1 prende il via un nuovo ciclo di quattro brani, ciascuno nuovamente provvisto del suo supporto video. Laconicamente battezzato EP2, a rimarcare la fratellanza di intenti con il suo diretto predecessore, il lavoro pone Barnett nuovamente al crocevia di attitudini diverse, sicuramente modernissime nel loro giostrarsi tra i nuovi venti r&b che soffiano dai due lati dell'Atlantico, gli spigoli della stagione post-dubstep e il fuoco di una spira elettronica che sa rendere colossale il più ossuto minimalismo. Senza troppi giri di parole, “Papi Pacify”, secondo brano proposto dal progetto, accompagnato da un video tanto brillante quanto disturbante, rappresenta un primo punto di snodo nella carriera di Barnett, col senno di poi rappresentando uno dei momenti cardine del 2013. Questo non soltanto per la sua capacità di comunicare al presente come pochi altri brani del periodo, ma soprattutto per serbare in sé i germi di quello che poi sarebbe stato il futuro del settore.
Il segreto di tale dialogo? L'avvalersi della produzione cristallina di Arca, producer che al tempo aveva mosso i primi passi nei circuiti di peso grazie al notevole clamore suscitato con la partecipazione a “Yeezus” di Kanye West. Al fianco di Barnett nella stesura dei pezzi, dona ariosità e totale libertà nel gestire dinamiche e tempi, determina grande naturalezza nello sfruttare l'alternanza di pieni e di vuoti propria di un James Blake in un impasto sonoro che prende tanto dal trip-hop quanto dai più incisivi sviluppi bass. In tutto questo vi è l'agilità di Twigs nel manovrare i costrutti propri della canzone pop, nel dosare a suo piacimento le frammentate cadenze melodiche del brano, e si fa presto a comprendere il perché dell'attrazione immediata suscitata dal brano.
C'è fortunatamente sufficiente sostanza nel resto dei brani per non figurare come semplici comparse. Dal battito bristoliano di “How's That”, che non disdegna contaminazioni con le frammentazioni r&b di marca Lapalux, all'ossatura minimal di una “Water Me”, altra grande prova interpretativa da parte della cantante (tocco soul che si fa inno pagano), la varietà e la tempra della proposta (“Ultraviolet” chiude in una nebulosa che unisce l'ambient-pop al glitch attraverso una maglia di stampo future-garage) aprono nuovi, stuzzicanti scenari, in vista di quelli che saranno gli imminenti progetti futuri.

Pull out the incisor, give me two weeks you won't recognize her

ft3_01Quattro canzoni, video incisivi, un'estetica netta, precisa nei suoi contorni quanto conscia di poterli superare: attorno al nome di FKA twigs si è costituito ormai un diffuso chiacchiericcio, il suo profilo viene incluso in riviste di settore e generaliste tra i nomi da tenere d'occhio per il 2014, la Bbc la candida al Sound Of 2014, il premio annuale che individua i potenziali nuovi talenti da tenere d'occhio. Anche a non vincerlo, resta comunque alto il fermento per un primo album che Barnett promette a stretto giro. Nel mentre si concede una brillante collaborazione con gli inc., altro nome al tempo sulla rampa di lancio per una vera affermazione nel già fitto ambiente nu-r&b, e affina il suo talento per la produzione e la regia di brani altrui. Tutte parentesi estemporanee, che non distraggono dall'obiettivo principale, dal terzo progetto in tre anni, a conti fatti il deal-breaker di una traiettoria in costante ascesa.

Introdotto dal lungo carrello che contraddistingue il video di “Two Weeks”, brano di straripante sensualità tutto impostato su brulicanti pulsazioni a cavallo tra industriali e r&b, e dallo shibari sfruttato nelle riprese di “Pendulum” (tra le più dolorose riflessioni sulle distorsioni dell'amore), LP1 giunge nell'agosto del 2014 e cementa in maniera perentoria le solide premesse dei primi due Ep, grazie a una selezione di brani che esalta ogni direttrice creativa toccata da Barnett.
Disco apparentemente elusivo, ma tutt’altro che privo di elementi e spunti a sostegno della sua interpretazione, appaga perfettamente la sete di chiarezza mettendosi in luce come lavoro strutturato sotto ogni aspetto, dalla tematica dei testi all’aspetto produttivo, che già ai tempi dei due Ep aveva decisamente brillato di luce propria. In questo senso, l’omogeneità che ne consegue aiuta del tutto a far propri i brani del lavoro, focalizzando con la dovuta attenzione andamenti, contesti e atmosfere.
L’erotismo, il pathos, le pulsioni sessuali che costituivano il tessuto lirico dei testi della Barnett non soltanto vengono amplificati nel più espanso formato dell’album, ma vengono piuttosto riaggiornati, rinnovati, animati di una linfa che pare quasi santificare, elevare a liturgia il più carnale, fisico dei processi. L’r&b, opportunamente filtrato, imbastardito da sciami elettronici e improvvise derive industriali, diventa quindi il veicolo espressivo d’elezione per una cerimonia officiata con il massimo della partecipazione, con un coinvolgimento che non ha bisogno di grandi dimostrazioni per fare la sua figura.
Difficile quindi anche soltanto immaginare un accostamento, per quanto velato possa risultare, con gli altri grandi nomi che hanno contribuito a rivoluzionare la scena in quegli anni. L'utilizzo dell'r&b diventa più che altro un pretesto per attualizzare, sfrondare della patina nineties generi come downtempo e trip-hop, offrendone una versione totalmente inedita, aggiornata alle movenze alternative del nuovo pensare elettronico. Il rituale predisposto da Tahliah Barnett non si presta a un collaudato gioco delle parti; quello è storia passata, un momento già archiviato nella memoria nel suo frastagliatissimo e complesso passo a due, dove l'interlocutore, per quanto mai realmente presente, influenza pesantemente la concezione del disco, non soltanto in senso lirico.
L'esperienza con Arca nella produzione di EP2 si è rivelata un momento fondante, il percorso da seguire e approfondire con la massima convinzione, sfruttandone ogni potenziale apporto comunicativo. E quindi vai di vuoti e tensioni che esplodono dal nulla, poliritmi inestricabili, bizzarre commistioni a spasso tra generi e attitudini (il taglio dalle venature oniriche di “Lights On”, picco d'intimità in un disco già di per sé scopertamente confessionale; le suggestioni quasi caraibiche che trapelano negli anfratti più nascosti di “Pendulum”). Twigs sa comunque gestire la stratificata impalcatura sonora del suo lavoro con grande maestria: anche dove il gioco sembra sfuggirle di mano, l'esito è quello di un'(apparente) esilità di tratto, di una leggerezza che risolve repentine scariche d'umore e voltafaccia stilistici nel più confortante dei sospiri, nel più caldo dei sussurri.
Sussurri, sì: per quanto Twigs sia dotata di un'affascinante plasticità vocale (come rimarcato anche dai febbricitanti affreschi vocali nel refrain di “Numbers”, il più struggente j'accuse sentimentale di quel periodo) e di una grana timbrica che sa rivaleggiare ad armi pari con una certa Aaliyah (sentire la potenza con cui parte la linea canora di “Closer”, tra i dieci pezzi quello più vicino all'r&b per così dire classico), le sue interpretazioni si immedesimano talmente tanto nei testi da rendere fortissimo, a tratti quasi insostenibile emotivamente, il loro ascolto. Il femminino, potentissimo e indomabile nel suo reclamare la propria identità, desideri e pulsioni, emerge quindi con una prepotenza sotterranea, strisciante, facendo pesare ogni parola, ogni gesto, come un macigno sul proprio interlocutore.
Conturbante e a tratti disturbante, lucido nell'esporsi ma pronto a rompere i freni inibitori quando necessario, LP1 è la manifestazione più potente di un talento cristallino, di un'artista che mette così subito in chiaro la sua esorbitante creatività.

Now hold that pose for me

ft4Il successo di LP1, soprattutto sotto il profilo critico, si rivela straripante. Capofila di una nuova linea di volti capaci di ibridare l'r&b alle nuove tendenze dell'elettronica (per quanto Barnett non si riveli particolarmente entusiasta dell'accostamento al genere, definendolo un abbinamento di comodo che chiama più che altro in causa le sue origini), l'album finisce in tantissime liste di fine anno, viene candidato al Mercury Prize e vanta un lungo percorso promozionale, che porta FKA twigs a presentare il disco in una lunga tournée globale. L'avvio di una trasformazione in popstar di peso? Nemmeno per idea: gelosa della sua creatività, interessata a scoprire nuove realtà sonore, Barnett guarda avanti a sé, verso i nuovi traguardi di un estro che non conosce battute d'arresto.

Chiuso il 2014 con tutti i blasoni del caso, il nuovo anno parte già all'insegna di nuove sfide da affrontare, con altri volti ad affiancare quelli già conosciuti. Già poco tempo prima Boots, il responsabile principale della produzione dell'omonimo album di Beyoncé, aveva parlato di una sua collaborazione con Twigs. A marzo del 2015, la pubblicazione di “Glass & Patron”, omaggio alla cultura queer e al vogeuing in salsa post-club, certifica che qualcosa di sostanzioso sta bollendo in pentola. Tra performance teatrali dal tocco biografico (lo spettacolo Congregata) e criptici annunci su Instagram, si fa forte l'idea che “EP3” sia prossimo all'uscita. Occorre però attendere qualche altro mese perché la comunicazione sia ufficiale e M3LL155X (lett. Melissa) veda la luce. A un anno dall'uscita di LP1, il progetto spinge ulteriormente in avanti la ricerca di Twigs, compattandola in cinque brani dal sound espansivo e futuribile.
Melissa: femminino impulsivo e soverchiante, energia creativa da cui trarre supporto e consiglio, potenza interiore dalle fattezze quasi divine, demone dapprima innominato che ha poi assunto tratti più identificabili. Come che la si voglia descrivere, è a questa entità che Tahliah Barnett ha deciso di dedicare il suo nuovo lavoro, Ep di venti minuti che spezza la schematica nomenclatura della sua precedente discografia a favore di un titolo finalmente personale. È con un certo distacco che l'artista britannica guarda al suo io più fecondo, che tiene a precisare non essere in alcun modo un suo alter ego: l'importanza però di una tale premura nella scelta del soggetto sa comunque superare simili ritrosie e testimoniare una nuova consapevolezza acquisita.
Un inno al proprio fervore creativo, si diceva: mai come adesso la premura è di palesarlo, di sbandierarlo con la dovuta fierezza, senza la mediazione di nessuno, adesso più superflua che mai. Per l'occasione il dispiego di mezzi non si è di certo contenuto: ad accompagnare l'Ep, un corposo supporto visivo in cui Twigs libera tutta la sua sensibilità registica affidandola a un concept in cui illustrare con la dovuta intensità non soltanto nascita e crescita di Melissa, ma anche quante riflessioni e idee hanno attraversato i suoi pensieri nell'arco di questi dodici mesi, se possibile ancor più fondanti rispetto a quelli che hanno preceduto la genesi di LP1. L'ascesa alla notorietà, l'esposizione al grande pubblico, il femminismo e la femminilità, dominio e desiderio: non suona come un'esagerazione che attraverso questa congerie di tematiche la Barnett abbia trovato la sua voce più reale e vivida, attraverso una vena lirica che affronta simili soggetti senza sterili banalizzazioni. La sua è una voce oscura, perentoria, disturbante tanto quanto le effigi visive da cui si fa accompagnare, non per questo ha paura di aggredire con i suoi mezzi i linguaggi pop, di volerne far parte pur in tutta la propria carica eversiva. Così, nonostante la spinta sulla sperimentazione timbrica e sonora non accenni a diminuire, la cinquina di brani qui proposta fa leva su accenti melodici tra i più sostanziosi e immediati del repertorio dell'autrice, che ormai sa dominare con efficacia i più disparati mezzi comunicativi.
Le direttrici riescono a essere spericolate e intricate: “In Time”, inerpicata su fugaci riferimenti dub, porta la tenebrosa umoralità del lavoro alle estreme conseguenze, marchiandosi a fuoco nel segno di una scrittura ombrosa, perfettamente corrisposta dalle fragorose esplosioni dei sintetizzatori e dal cupo ribollire dei bassi. “Figure 8”, forse il momento in cui pare più evidente il contributo di Boots, acuisce il processo di straniamento percettivo, rinforzando la vena avanguardistica del suo operato in un crogiolo incandescente nel quale si addensano in perfetta consequenzialità richiami grime, rap dall'oltretomba e chiaroscuri sintetici, che insieme finiscono per rendere le già avventurose articolazioni di LP1 quasi ordinaria amministrazione.
Barnett non è di certo restia a rivelare l'ampiezza di registri a cui può ricorrere, qui impiegata senza alcuna ritrosia (dal rabbioso scagliarsi di “In Time” alla dolce-amara rassegnazione di “I'm Your Doll”, vecchio demo rielaborato con successo, con testo tra i più spietati in circolazione), eppure il suo ricorrere a così ampie modifiche accentua una carica emotiva che altri semplicemente avrebbero appiattito con scelte fuori fuoco.
Mancava giusto qualche brano in più per poter parlare di M3LL155X come del vero pinnacolo di FKA twigs, ma anche senza una maggiore estensione la testimonianza è comunque di quelle che contano.

Intermezzo

ft5Dopo più di tre anni trascorsi ad affinare la propria arte e raccogliere man mano consensi sempre più importanti, una pausa dal continuo ciclo discografico era più che dovuta. Non che il processo creativo si arresti, dopo l'uscita di M3LLI55X viene comunque pubblicato un singolo spurio (una “Good To Love” in cui Twigs chiama a sé la sua Sade interiore), l'interesse per la regia trova sbocchi sempre più diversificati (dalla direzione di spot pubblicitari a nuovi spettacoli teatrali), e lei viene scelta come protagonista del video promozionale diretto da Spike Honze per il lancio dell'Homepod di Apple (col supporto di Anderson .Paak alla musica).
Non è insomma un periodo privo di fermento, vieppiù che Barnett comincia a essere notata anche dal mondo del cinema, in veste di attrice. È però anche un periodo in cui le sue vicissitudini personali, tenute finora nascoste, diventano di dominio pubblico. Conosciuto tramite amicizie in comune, Robert Pattinson, già lanciatissimo dopo la saga di “Twilight” e fresco di separazione dalla collega Kristen Stewart, è il compagno di Barnett per tre anni, dalla fine del 2014 fino alla metà del 2017. Quella che poteva a conti fatti essere la coppia d'oro del mondo alternativo (Pattinson già si era allontanato di prepotenza dall'universo vampiresco che lo aveva reso famoso) diventa invece una spirale da incubo per Twigs, vittima di attacchi incessanti da parte delle fan dell'attore, ben poco propense a riconoscere in lei una partner “all'altezza” del loro beniamino. Si riversa su di lei un devastante clima d'odio, i commenti razzisti imperversano sulla Rete e si alimenta un bullismo feroce, che ha ripercussioni importanti sulla stessa musicista britannica.
Poco importa che i due arrivino pure al fidanzamento ufficiale, che la storia sembri continuare malgrado tutto: il contesto prodotto dai fan e dai tabloid rende l'atmosfera sempre più insostenibile, Barnett sperimenta un brutale periodo di crisi e di scarsa accettazione di sé, tale da portare dopo tre anni a un'inevitabile rottura. Dalla straziante conclusione di un capitolo personale emotivamente così impattante Twigs coglie comunque i semi per il suo prossimo lavoro, ancora lungi da venire ma già battezzato in acque densissime, nero pece. L'artista non si perde comunque d'animo, attraverso il suo profilo Instagram documenta i progressi compiuti nella pole-dance e nello studio del wushu, più precisamente nella pratica della spada. Nella paziente progressione dimostrata mese dopo mese, emerge, se mai ce ne fosse stato bisogno, la tempra e la disciplina di una mente creatrice che non lascia niente al caso, che ha pochissimi eguali nel campo della musica popolare (l'eterna Kate Bush il nome più vicino). Tutto porta lentamente a una nuova dimensione da occupare, uno spazio da raccontare in tutta la sua dolorosa intensità.

I'm a fallen alien, I never thought that you would be the one to tie me down

ft6Il dolore rimane un po' il nucleo centrale di tutta la stagione che anticipa e comprende MAGDALENE. Arriva a inizio 2018 la comunicazione di Barnett che pochi mesi prima ha dovuto affrontare plurime laparoscopie per rimuovere sei fibromi uterini, una costante sacca di dolore che l'artista sopportava da anni, per la quale temeva che il suo corpo non sarebbe riuscito a reggerne il peso, anche e soprattutto dopo la rimozione. Sempre nel 2018, dopo che si sono conosciuti al lavoro sul set di “Honey Boy”, Twigs intrattiene una relazione con Shia Labeouf, relazione destinata a chiudersi in neanche un anno dopo che la musicista accuserà l'attore, con tanto di causa aperta al tribunale di Los Angeles, di violenza sessuale, molestie e stress emotivo.

In questa congiunzione terribile il processo creativo diventa l'unica arma per attuare il proprio processo di guarigione, per trovare quel riscatto che le circostanze non volevano concedere. Solo così si prende nuovamente confidenza col proprio io e si pone un freno alle proprie aspettative. Il penoso e sofferto quadriennio che separa M3LL155X da MAGDALENE trova nuovi equilibri con una fisicità irrimediabilmente diversa, un'interiorità scossa nel profondo, tale da favorire l'emersione di nuovi stimoli e desideri. Quasi un resoconto di questo lento e costante cammino di recupero, il secondo full-length di FKA twigs è opera introspettiva, catartica, che non rinuncia alla sperimentazione cross-genere delle prove precedenti, ma che la piega in un disco dal forte valore simbolico, maturo e consapevole, con cui tracciare un poderoso ritratto di donna e artista.
Maria Maddalena, nella forza archetipica del suo personaggio e nella manipolazione della sua storia, diventa il fulcro tematico di un disco che agli aspetti religiosi della questione preferisce invece concentrarsi sul simbolismo femminile della figura, sulla straordinaria forza del suo esempio. Una personalità antica e contemporanea allo stesso tempo, che ha esercitato e continua a esercitare un fascino magnetico: modello di dignità e coraggio, l'artista britannica ne trasporta diversi elementi all'interno del suo vissuto, gioco di specchi che si spinge ben oltre il profilo lirico.
Oltre il nuovo, pesante, bagaglio di riflessioni, a prestare il fianco ai cambiamenti più significativi è la produzione, che non rinuncia ai suoi tratti inclassificabili ma si fa più avvolgente, possibilmente più dinamica, tanto accarezzando l'avanguardia quanto misurando la sua versatilità in territori pop. Ancora una volta coordinatrice di un sontuoso cast di collaboratori (tra i tanti, Nicolas Jaar, Daniel Lopatin, Skrillex), Twigs riesce nuovamente nell'impresa di piegarne attitudini ed estetica ai fini di un progetto unitario, di una visione singola, delineata con convincimento analogo alle prove precedenti, ma con un trait d'union ancora più potente che in passato.
Molto più incentrato sulla compenetrazione tra testo e suono, l'album vede Tahliah Barnett affinare ulteriormente la ricerca di una comunicazione che sappia coniugare ricerca timbrica e ricchezza melodica, potenza del messaggio e fascino espressivo. Si giustificano così veri e propri outlier come “Holy Terrain”, pezzo dagli evidenti connotati trap ma dal vigoroso melodismo r&b, enfatizzato dalla natura intima ma volitiva del testo e dall'interessante scambio lirico tra l'autrice e Future. Un discorso analogo vale per “Home With You”, brano dalla struttura bipartita che sa come rigirare il coltello nell'eterna piaga delle relazioni, degli equilibri precari che le governano. Tra il tono marziale, catatonico delle strofe e il calore soverchiante del refrain, esaltato in chiusura da un sontuoso accompagnamento orchestrale, si registra l'intera ambivalenza sottesa alle liriche.
Altrove la faccenda si fa ben più soggettiva, personale, tesa a scoprire la forza di una femminilità spesso tarpata, incompresa, ma adesso fonte di saggezza, catarsi. Evidente il desiderio di guarigione che anima “Mary Magdalene”, la cognizione di una forza spirituale e di un'energia ancora indischiusa, adesso pronta a sprigionarsi, a svelare i suoi misteri. “Sad Day”, tra le melodie più compiute del suo repertorio, coniuga la segmentata base glitch/techno con una tenerezza interpretativa curiosa per il personaggio, che getta uno sguardo di speranza nei confronti dell'amore e della sua forza salvifica. “Cellophane”, strategicamente posta in chiusura dell'album, è una ballata lancinante, sorretta da un pattern beatboxato e un lento mormorio di pianoforte, tesa a interrogarsi sulla dinamica della separazione da Robert Pattinson. “Fallen Alien” ne è invece la controparte rabbiosa, un'esplosione che rivolta come un calzino le intuizioni ritmiche della migliore Björk e le trasfigura in un disegno sinistro, quasi a sancire la rivincita nei confronti di un male vissuto per troppo tempo come se fosse la normalità. Barnett mostra così il carattere della sua arte, la cui intensità esce soltanto rafforzata dalle tante traversie vissute nel quadriennio.

Switch it up and don't stop

ft61Dopo l'acclamazione pressoché universale ricevuta da MAGDALENE e una tournée stellare, in cui ha avuto modo di fare sfoggio dei progressi ottenuti nella pole-dance e nel wushu (oltre a elaborate coreografie di gruppo), Barnett non si riposa, ma ritrovatasi con tanta energia a disposizione e una pandemia che ha portato tutti ad avere molto più tempo, porta avanti la promozione digitale del suo secondo album e rivela di essere già al lavoro su un nuovo progetto. Il mood portante? Sereno, divertito, estremamente collaborativo. Il processo di guarigione iniziato con l'ideazione del secondo album trova dal 2020 e specialmente nel 2021 pieno esito, mettendo in luce una FKA twigs in piena serenità, supportata dal calore e dall'affetto di colleghi e talenti vari.

Annunciato ripetutamente durante il corso del 2021, ma poi posticipato per questioni di cambio di nome e di partecipazioni in colonne sonore (la sua “Measure Of A Man” tra i brani scelti per “The King's Man”) il progetto, uscito a ridosso del compleanno di Barnett e per l'occasione ribattezzato Caprisongs, stravolge completamente le aspettative, su un progetto di Twigs e sugli umori che questo può presentare. Si è riscoperta, lontana (ma non dimentica) dal dolore passato, circondata dal calore di amici affettuosi e dal brusio di conversazioni tanto piccole quanto per lei importanti. Trovare il conforto di persone fidate è una fortuna, ed è a loro, alla loro energia e al loro supporto, che Twigs dedica il suo primo mixtape, che ha il sapore della vita respirata a pieni polmoni, di un'euforia che trova nell'inclusione, nello spirito di collaborazione, la sua vera chiave di volta. In un processo creativo espanso per la prima volta a un fitto manipolo di colleghi e amici musicisti, il progetto si mostra curioso, salta da uno stile all'altro, invitandoci alla (ri)scoperta di un'artista adesso semplicemente desiderosa di divertirsi.
Per quanto distribuito dalla Young attraverso la Atlantic, con tanto di corposo video di lancio per una “Tears In The Club” che la vede accompagnarsi a The Weeknd, il progetto rivela sin da subito la sua natura ben più sfilacciata, in un certo qual modo la voglia di giocare con i colori e i costrutti dell'attuale panorama mainstream. Il gioco, per quanto non privo di spigoli e dell'attitudine obliqua propria di Barnett, è purissimo distillato pop, di volta in volta piegato a un'estetica diversa o a particolari esigenze collaborative. Il senso di curiosità è innegabile, così come il carattere profondamente emotivo dei brani, eppure l'impressione che si ricava è quella di una profonda confusione, di un'assenza di baricentro che l'eccezionale varietà messa in campo non aiuta a soddisfare. Aggiungere al tutto la molteplice presenza di stacchi spoken di amici e fan, nonché interludi del tutto irrilevanti, non fa che aumentare lo spaesamento.
Il collante dato dalla coordinazione esecutiva di Barnett e di El Guincho fa pochissimo insomma per mettere insieme uno stuolo di voci e produttori (la ritrovata Arca, Koreless e Sega Bodega tra i tanti), per far convivere sotto lo stesso tetto l'arrembante afroswing della star nigeriana Rema (“Jealousy”) e le sboccate cadenze di Shygirl (i Caraibi liofilizzati di “Papi Bones”), gli abbrivi hip-hop di Pa Salieu (“Honda”) e la passione soul di Jorja Smith (la bedroom-trap di “Darjeeling”, che riprende il ritornello di “You're Not Alone” degli Olive).
Pure la scrittura, elemento da sempre focale nell'arte di Twigs, qui perde molto del suo trasporto, si arrende a una cedevolezza che raramente spinge oltre il minimo comune denominatore. È positivo, a ben vedere, che la presentazione del progetto ne abbia messo in chiaro la natura più libera, a suo modo home-made. Libera dalle cornici tematiche ben più dure dei suoi dischi chiave, con Caprisongs Tahliah Barnett celebra se stessa, il suo universo, una rinascita prorompente, da leggersi anche attraverso un atteggiamento più divertito, sfilacciato.

And if they ask you, say you feel it, but don't call it love

ft8Per quanto estemporaneo, per quanto volutamente fuori dal circuito distributivo principale, Caprisongs arriva là dove tutte le precedenti prove non erano arrivate. Vuoi per la sua maggiore accessibilità, vuoi per i tanti featuring di lusso, giungono i primi piazzamenti in classifica in paesi insospettabili (la Nuova Zelanda), il nome di FKA twigs si spinge là dove finora non era riuscito ad arrivare. Non che sia necessariamente questo il percorso che interessa a Barnett, ma il supporto di una major e dei tanti colleghi fa sì che la situazione, anche dal punto di vista delle canzoni, finalmente si sblocchi. La creatività rimane comunque costante, la musicista elabora demo su demo (uno solo dei quali vedrà la sua forma compiuta, “Killer”, motivo rhythm'n'bass perfettamente in linea con le tendenze del mixtape), arriva entro la metà del 2023 ad avere più di 80 pezzi in saccoccia, da poter elaborare.

Dopo due apparizioni di successo, la prima al Vogue World di metà settembre 2023, in cui interpreta “It's A Fine Day” degli Opus III accompagnata da Cara Delevingne e la seconda alla sfilata di Valentino alla Fashion Week di Parigi solo due settimane dopo (per l'occasione propone “Unearth Her”, pezzo composto assieme a Koreless), arrivano rapide delle storie su Instagram in cui Barnett denuncia il leak dei demo su cui stava lavorando. La frustrazione è tangibile, quella che sembrava un'autostrada verso il nuovo album conosce una brutta battuta d'arresto, con Twigs ad annunciare che la data di pubblicazione dell'atteso terzo album sarebbe stata rinviata a data a destinarsi.
Attesa non troppo lunga, malgrado i pronostici avversi: ad agosto dell'anno successivo Barnett annuncia l'uscita del nuovo disco, prevista per gennaio del 2025. Nel mentre diffonde il titolo dell'album, EUSEXUA, e promuove la title track, singolo di lancio che introduce al mondo il neologismo e i suoi connotati semantici.

Have you experienced eusexua? Avete mai provato quella sensazione di euforia che vi assale in prossimità di una straordinaria rivelazione, di una grande idea? Una sorta di compendio di vita, di eccezionale elevazione mentale e sensoriale, il terzo album di FKA twigs, opportunamente denominato con l'azzeccato neologismo di sua invenzione, punta a circoscrivere questo stato dell'anima, "la vetta dell'esperienza umana", secondo le stesse parole della musicista, in un pacchetto sonoro totalizzante, figlio tanto dell'elettronica più sfacciata che dell'amore acquisito per i linguaggi pop. Immedesimarsi in tale tripudio è un'operazione più semplice del previsto.
Elettronica e pop, insomma, l'approccio curioso e ondivago di LP1 e M3LL155X integrati alla sponda major offerta da Caprisongs. Aggiungiamoci generose dosi d'affetto e di memoria (l'intero album è stato descritto come una lunga lettera d'amore nei confronti della musica dance e della club-culture) e si identificano con precisione i cardini, gli elementi base su cui si impernia l'intero progetto-eusexua. Più che rappresentare realmente il passaggio al dancefloor, l'album riflette sull'impatto che questo ha avuto su Twigs, sul suo potenziale liberatorio, sul processo di scoperta che questo ha comportato. Fatta quindi eccezione per "Room Of Fools", capitolo technoide preso in seno dalla Björk dei primi due album, e "Drums Of Death", momento tutto spigoli e percussioni affidato alla sapiente mano di Koreless, la pista compare in tralice, spesso come rivelazione posteriore, il complemento ideale di un'accentuata riflessività. Nessun brano esplicita tali scelte meglio della title track. Già un classico del repertorio di Twigs, monta con astuta sofisticazione, lascia che sia l'agile canto della musicista a prendere piede, introdurre all'universo del disco, all'incomunicabilità di un concetto che solo il suono sa esplicitare. Il tempo che la pulsazione monti, spunti dal sottoterra in cui serpeggia, e tutto prende fuoco, si trasforma in una potente epifania trance, la concretizzazione di un entusiasmo illimitato.
Con analoghe intenzioni incede "Keep It, Hold It", mini-suite dal carattere bushiano in cui l'apertura pastorale, cede lo spazio a un poderoso break in fascia jungle, il tempo che passi e faccia piazza pulita di tutto, prima che la coda faccia rientrare la piena e risolva la turbolenza in una lenta dissolvenza corale.
È un peccato che un disco capace di rinverdire i fasti di “Ray Of Light”, interpretarne al meglio la fascinosa lezione downtempo, prenda poi la strada di un piatto generalismo pop oppure si avvalga di featuring a dir poco discutibili. Pressioni da major? Per un brano come "Childlike Things", accompagnato dagli scherzi vocali dell'undicenne North West si propende più per una voluta presa in giro. Alla fine sono intoppi non di grosso rilievo, considerando che gran parte della scaletta volge il suo sguardo altrove, resta il fatto che un simile concept, una così impetuosa brama di vita, avrebbe potuto giocarsela tranquillamente con i due dischi precedenti, con qualche esclusione in più. Resta comunque chiara l'impressione di un nuovo passo in avanti, di un entusiasmo che, siamo certi, saprà elargire a lungo i suoi doni.

Nei costanti e accorti cambi di stile, nelle evoluzioni sempre più ardite dei suoi concept, FKA twigs conferma passo dopo passo la straripante forza del suo carattere, la caratura e l'autorevolezza di un'arte sempre più viva, respirata e ispirata alla massima capacità. Un vero alieno, caduto sulla Terra da chissà dove, ma pronto a condividere la forza della sua testimonianza.

FKA twigs

Discografia

EP1 (Ep, self-released, 2012)
EP2 (Ep, Young, 2013)
LP1 (Young, 2014)
M3LL155X (Young, 2015)
MAGDALENE (Young, 2019)
Caprisongs (mixtape, Young/Atlantic, 2022)
EUSEXUA (Young/Atlantic, 2025)
Pietra miliare
Consigliato da OR

Streaming

Breathe
(da EP1, 2012)
Hide
(da EP1, 2012)

Papi Pacify
(da EP2, 2013)

Water Me
(da EP2, 2013)

Two Weeks
(da LP1, 2014)

Pendulum
(da LP1, 2014)

Glass & Patron
(da M3LL155X, 2015)

Cellophane
(da MAGDALENE, 2019)

Holy Terrain
(da MAGDALENE, 2019)

Sad Day
(da MAGDALENE, 2019)
Tears In The Club
(da
Caprisongs, 2021)

Jealousy
(da Caprisongs, 2022)

Eusexua
(da EUSEXUA, 2024)

Perfect Stranger
(da EUSEXUA, 2025)

Striptease
(da EUSEXUA, 2025)

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