È abbastanza comprensibile che nell’epoca dei talent show, con la conquista degli applausi a suon di acuti e gorgheggi virtuosistici, nonché della musica pop tutta lustrini e niente impegno, Madonna abbia smesso di essere un fenomeno mainstream. Ci sta, e, francamente, c’è poco da preoccuparsi. Quello che allo scrivente pare strano è che Madonna non sia mai riuscita a farsi apprezzare veramente, salvo pochissime eccezioni, dal mondo della critica. Molti neanche sanno che nel 2008, all’introduzione della popstar americana nella Rock & Roll House of Fame, il concerto di celebrazione dell’evento - mentre fuori dalla sala i soliti detrattori esponevano slogan come “Madonna doesn’t rock” - fu tenuto da qualcuno che di certo la storia della musica rock l’aveva fatta in prima persona: Iggy Pop. Iggy & The Stooges interpretarono dal vivo anche un brano di Madonna di 10 anni prima: “Ray Of Light”. Certo, avere gli Stooges che ti rifanno le canzoni può essere per un musicista uno di quei momenti che valgono una vita. Ed è molto significativo che l’Iguana abbia affermato, nel film-documentario “Gimme Danger” a lui dedicato da Jim Jarmusch, di non preoccuparsi tanto di essere classificabile come qualcosa o qualcos’altro, quanto piuttosto di “voler essere”. La cosa si adatta bene anche a Madonna, la quale in tutta la sua carriera se n’è sempre infischiata delle etichette, saltando da una versione di sé stessa all'altra e rifuggendo ogni classificazione.

madonnarayoflight1Mai come con l’album “Ray Of Light” del 1998, tuttavia, Madonna parve davvero a un passo dal conquistare i favori della critica. Ma durò poco, perché oggi, a quasi trent'anni di distanza, quell’impresa pare ancora trattata con piena indifferenza. Ed è ingiusto, perché “Ray Of Light” non fu solo uno dei migliori album di Miss Ciccone, ma anche uno degli ultimi grandi fenomeni del decennio, mostrando come un disco dalle produzioni raffinate, in bilico tra techno e trip-hop, potesse ancora sbancare ai botteghini.
Già degno di nota per la copertina pre-raffaellita di Mario Testino, la più bella dall’epoca di “True Blue” (con lo scatto memorabile di Herb Ritts), “Ray Of Light” brilla già a partire dal primo singolo “Frozen”, che probabilmente stupì persino molti tra i suoi più accaniti detrattori. Erano gli anni dei Massive Attack, di Bjork e dei Prodigy. In effetti, Madonna aveva lavorato coi Massive Attack all’epoca dell’incisione di “I Want You” e Björk aveva scritto per lei la title track dell’album “Bedtime Stories”. L’anno precedente, il 1997, Madonna era rimasta folgorata dai Prodigy e dal loro fondamentale “The Fat Of The Land”. Girò quindi voce che desiderasse ingaggiarli come produttori. I Prodigy bloccarono comunque sul nascere ogni possibile collaborazione, attraverso una serie di dichiarazioni rilasciate alla stampa. Oggi, con i Metallica che suonano con Lady Gaga, i Rolling Stones che si esibiscono con Ed Sheeran, e Paul McCartney che suona per Rihanna, forse le cose sarebbero andate diversamente, ma allora certi steccati ancora resistevano.
Madonna trovò però un’altra soluzione per riuscire definitivamente a prendersi in mano gli anni 90. Ci aveva già provato ripetutamente all’inizio del decennio con i singoli “Vogue” e “Justify My Love”: le cose sembravano promettere bene, ma poi non si erano evolute come sperato. “Erotica”, nonostante l’alto livello qualitativo, non aveva ricevuto l’aspettato successo, forse anche per via di una promozione troppo incentrata sull’aspetto della provocazione mediatica. Poi era venuto il momento di “Evita”, che però era solo il remake di un musical del passato. Nel frattempo, Madonna era riuscita a produrre il primo disco di Alanis Morissette, record di vendite per un’artista esordiente, ma non si trattava di un disco di cui fosse autrice e interprete. Ogni tanto, qua e là, spuntava ancora qualche singolo di successo, ma mancava un album intero in grado di fare breccia, per ricordare al mondo che era lei la numero uno. Ecco quindi, finalmente, Madonna riuscire ad afferrare i 90's proprio al loro tramonto, tornando a livelli di vendita che per un suo album di inediti non si vedevano più dalla fine del decennio precedente con “Like A Prayer”.
“Ray Of Light” fu persino il primo disco della cantante di “Like A Virgin” a essere premiato con il Grammy Award (risultato poi bissato nel 2005 con “Confessions On A Dancefloor”).

Ma quale fu il segreto dell'opera più sofisticata della discografia di Miss Ciccone? Anzitutto, la sinergia perfetta che venne a crearsi con William Orbit. Madonna scovò il produttore britannico – all'epoca ancora parzialmente sconosciuto al grande pubblico - ascoltandone diverse tracce, inclusi i remix di alcuni dei suoi stessi successi, come “Justify My Love” e “I’ll Remember”. Alla fine sarà proprio Madonna a fare di Orbit un produttore acclamato a livello mondiale.
In ogni caso, l’intesa tra i due funziona alla grande: William fornisce alle canzoni - già scritte da Madonna insieme a Patrick Leonard e Rick Nowels - un impianto sonoro d’avanguardia, fondendo trip-hop, techno e suggestioni retrò oppure orientali. “Lei non ha mai fatto vanto delle sue capacità musicali, ma è una songwriter matura”, spiegherà il produttore, sottolineando ancora: “Scrive materiale melodico molto solido”. Anche Nowels si unirà agli elogi: “Sa come incanalare le idee e comporre una canzone. Non si limita a improvvisare melodie. Capisce come devono essere una strofa e un ritornello, dove inserire un bridge, come far funzionare le melodie”.



Madonna si ritrova così circondata da una selva di synth, bleep, loop e campionamenti, mettendo il suo canto suadente al servizio di un suono completamente nuovo. Ne scaturisce un disco raffinato, maturo, screziato di sfumature psichedeliche, fin dalle atmosfere dreamy dell’intro dell’apertura “Substitute For Love”. La seconda traccia è già una prodezza: “Swim”, registrata in lacrime il giorno dopo l’assassinio di Gianni Versace, colpisce nel segno con un riff bruciante di chitarra elettrica e un ritmo più sostenuto.
Fusione perfetta di spiritualità new age e sensualità, misticismo zen e battito tecnologico, l'album raggiunge vertici di assoluto valore con l’algido singolo “Frozen”, ibrido fertile tra world-music e trip-hop, plasmato su un lambiccato e rarefatto arrangiamento sintetico, che si sposa a percussioni arabeggianti e a una delicata melodia. Un poema sinfonico orientaleggiante, magnificamente interpretato da Madonna (alla faccia di chi dubita delle sue doti di vocalist), che per la scrittura tornò ad avvalersi della collaborazione con Patrick Leonard, già co-autore di tanti suoi successi negli anni 80, tra cui il pop orchestrale di “Papa Don’t Preach”, della cui prorompente intro per archi “Frozen” vuole raccogliere l’eredità, ma in chiave meno minuettistica quanto piuttosto spirituale ed enigmatica. Notevole anche l’altro singolo "The Power Of Goodbye", con il suo incedere flessuoso in una scintillante cornice elettronica, tra archi campionati e vortici di synth, a narrare con toni compassionevoli la fine di una love-story: “Freedom comes when you learn to let go/ Creation comes when you learn to say no” (“La libertà arriva quando impari a lasciar andare/ La creazione arriva quando impari a dire no”).

Ma anche episodi apparentemente minori si rivelano pienamente riusciti, dalla trance techno-ipnotica di “Candy Perfumed Girl”alle atmosfere tese e oscure di “Skin”, dalla world music dell’indianeggiante “Shanti Aganti”, quasi una versione rivisitata di “Within You Without You” dei Beatles, all’innovativa bossa-nova elettronica di “To Have Not To Hold”, influenzata dall’ascolto di Astrud Gilberto (un simile colpo di maestria, del tutto inosservato, sarà ripetuto da Madonna nell’album del 2019 “Madame X”, reinventando il fado su base synth-pop).
L’ultimo singolo sarà invece “Nothing Really Matters”, l’episodio più dance della raccolta, assieme all’incalzante acid house della title track: un altro brano perfettamente costruito, che riporta la mente agli anni in cui Madonna era stata la regina delle piste da ballo. Ma la sua autrice deciderà di fatto di tarpargli le ali, spostando l’attenzione su un nuovo singolo, “Beautiful Stranger”, non contenuto nell’album, ma ancora realizzato insieme a Orbit. Evidentemente, dopo oltre un anno dalla pubblicazione di “Ray Of Light”, Madonna già pensava a guardare oltre.

I testi spaziano tra misticismo (la succitata "Shanti/Ashtangi" è un adattamento del testo tratto da "Yoga Taravali" di Shankra Charyacantata, cantato interamente in sanscrito) e vicende autobiografiche, con la piccola Lourdes al centro delle tenere ninnananne di "Little Star" e " Drowned World/Substitute For Love" (“I traded fame for love... Now I find I’ve changed my mind/ This is my religion”, canta in quest’ultima). Come se la nuova condizione di madre avesse donato a Madonna un nuovo slancio di introspezione e misticismo. Nell’ipnotica "Mer Girl", invece, l’ex-Material Girl affronta il rapporto con la sua famiglia, in particolare con il dramma della perdita della madre e con il suo corpo senza più vita, definendola con una locuzione anglo-francese "ragazza del mare".

Più vicina a Bjork che a Donna Summer e a un passo dalla new age, la Madonna di “Ray Of Light” si dimostra una cantautrice forbita e una donna matura, che fa i conti con nuovi problemi generazionali, dalla maternità (vero tema-chiave del disco) a quella smaniosa ricerca spirituale che la porterà ad avvicinarsi sempre più alla Kabbalah.
Ma l’impresa di “Ray Of Light” non basterà a Madonna per vincere definitivamente lo scetticismo della critica. Così negli anni successivi, tra nuovi successi – il fortunato ritorno alla dance del singolo “Music” e dell’intero “Confessions On A Dancefloor” – e più di un passo falso, accentuato anche da qualche uscita pubblica di cattivo gusto, Miss Ciccone si ritroverà a dover ancora dimostrare qualcosa, nonostante il suo ineccepibile pedigrée di popstar provetta e lungimirante, di decisiva influenza per intere legioni di emulatrici. E probabilmente non basterà nemmeno il milione e mezzo di spettatori raccolti sulla spiaggia di Copacabana nel più imponente concerto della sua carriera, stupefacente colpo di coda di una tenacia che non ha eguali, per farla rivalutare dai media che la vogliono sorpassata e dai critici più oltranzisti per i quali è come se non fosse mai esistita. Forse questo è il prezzo che può pagare chi non cerca di essere qualcosa, ma solamente di essere.