Negli ultimi tre anni mi sono soffermato spesso sul video di
Connan Mockasin e del padre Ade Hosford alle prese con la sempre attuale “
While My Guitar Gently Weeps” dei
Beatles, un’esibizione magica, incantevole, un incontro generazionale profondo e commovente che è una delle ragioni dell’esistenza dell’album “It’s Just Wind”.
A dispetto della cartella stampa che attribuisce la nascita del disco a un incontro fortuito di Connan con una sensitiva, che gli avrebbe raccomandato di coinvolgere il padre in uno dei suoi progetti musicali pena il pentimento per l’eternità, la genesi di quest’insolito album è legata alla profonda intesa tra padre e figlio, e al recente e improvviso arresto cardiaco che ha colpito Ade.
La promessa di un disco insieme, fatta per gioco da Connan al padre, è improvvisamente diventata una priorità per il musicista, che, dopo aver consultato i medici e con il supporto dalla Mexican Summer, ha lasciato, in compagnia di Ade, la Nuova Zelanda per il deserto del Texas, per poter registrare nei Marfa Studios le dieci tracce di “It’s Just Wind”.
Per Ade Hosford queste
session sono la realizzazione di un sogno inseguito da oltre 40 anni, ovvero da quando militava negli Autumn Stone e in altre estemporanee formazioni rock delle quali non esistono prove discografiche (degli Autumn Stone sono rimaste tracce consunte dal tempo su alcuni
master tape).
John Carroll Kirby (tastiere), Connan Mockasin (chitarra, seconda voce), Matthew Eccles (batteria), Nicholas Harsant (basso) e Rory McCarthy (chitarra) scelgono un
mood rilassato e confidenziale, meno appiccicoso e psichedelico del suono dispensato da Mockasin nelle precedenti prove discografiche, a volte lievemente inconsistente da apparire vacuo, inerte.
La sensazione prevalente è che Connan e il padre si siano divertiti talmente nell’elaborare questa
jam-session in studio da non preoccuparsi della scrittura delle dieci tracce. L’album è un insieme di brani
nonsense che sfidano senza paura il
politically-correct, al punto che Ade nell'iniziale “The Wolf”, alla quale spetta il compito di dettare le minime linee stilistiche del progetto, racconta con candore un serrato dialogo tra il porcellino che dice al lupo che la sua casa è fatta di droga e il lupo che in tutta risposta minaccia di darle fuoco e fumarsela, non senza aver gridato con disprezzo: "Piccolo porco".
Musicalmente “It’s Just Wind” è un album che funziona soprattutto quando le dissonanze tra voce e strumentazione sono più evidenti: accade in episodi brillanti e ariosi come “Te Awanga” o nella più articolata e complessa “Marfa”, un delizioso dialogo tra padre e figlio sul decadimento causato dalla vecchiaia dopo una vita spesa a fare lavori di “merda” per una misera pensione consumata all’ombra delle depressione.
Spesso le composizione sono intervallate da stramberie funky (“What It Are”), disordine vocale e strumentale (“Tight Waxing”) e da contorte e volutamente irritanti dispersioni di suoni e parole (“Stuck”), confondendo ancor di più le attese di chi confidava in un disco più organico.
Al contrario il fascino di questo insolito progetto padre e figlio è racchiuso nella natura
naif e gracile delle composizioni, valga su tutte la titubante lunga suite “Round Peg In A Square Hole”, che dopo innumerevoli tentativi d’indirizzo stilistico e in preda a un’estasi
pinkfloyd-iana quasi new age, prende corpo solo quando la voce di Add si erge con una potenza poetica e narrativa che rimanda al folk di protesta degli anni 60 e 70.
E’ dopotutto inutile pretendere da questo giocoso interludio discografico qualcosa in più di una sana e divertente riunione tra amici e familiari. Anche il titolo “It’s Just Wind” non è una citazione poetica, ma un ironico commento alle continue flatulenze di Ade, una breve frase che racchiude in sé la natura fugace e liberatoria di un disco tanto amabile quanto inconsueto.