Lo confesso: una delle domande più fastidiose che mi viene posta ogni qualvolta metto sul piatto o nel lettore un disco nuovo è quella riguardante la patria d’origine di un artista o di un complesso; un interrogativo che, pur avendo la sua ragion d’essere, è spesso posto quasi a voler sottendere un ridimensionamento critico dell’album in oggetto. Ben venga, quindi, la multinazionalità dei Burnt Pines, trio formato dal cantante e paroliere di origine danese Kris Skovmand, dal cantautore e polistrumentista di Boston Aaron Flanders e dal tastierista e arrangiatore portoghese Miguel Sá Pessoa.
Quel che il gruppo offre è un folk-pop dai connotati interculturali, un grazioso mix di sonorità acustiche che ha solide radici non solo nell’America delle lunghe distese e delle solitarie highway, ma anche nell’immaginario europeo. Forti di un vocalist dal timbro flessuoso e passionale, Kris, e della mano sicura del già rodato autore Aaron, i Burnt Pines prestano molta attenzione al dettaglio e alle armonie vocali, estraendo dal cappello magico canzoni dall’eccelsa fattura, come “Make The Sign”, o brani folk-pop frizzanti e piacevoli senza eccessive concessioni al mainstream (“On The Burning Bridge”).
Tutto l’album dei Burnt Pines è un'intelligente rilettura di quella musica country che ha annullato le barriere continentali. I riferimenti più tangibili sono Simon & Garfunkel, particolarmente percepibili nel delizioso intreccio tra chitarra acustica e banjo di “Heavy And Young”, e Cat Stevens - si ascolti la gentile progressione armonica di “Diamonds”.
La musica dei Burnt Pines è come un alito di vento che carezza le guance (“Mother On The Mountain”), a volte pronta a un ambiguo slancio passionale (”Only In The Soul”), nonché memore del genuino spirito beat dei Sixties (“Oh Me, Oh My”).
Qualche spunto più prevedibile (“Song For Rose”) e qualche lieve caduta di tono, dovuta più alla produzione non sempre brillante e a tratti monocorde (“From Seville To Manhattan”, “Waiting For You”), sono per fortuna compensati da intuizioni liriche di pregio.
Ulteriore conferma delle qualità del trio, la tenera “Outside Of Us” sembra sfuggita all’album di Cat Stevens “Mona Bone Jakon”, mentre “April March” rasenta la perfezione grazie a un sapido intreccio tra la voce di Kris, le percussioni lievi di Miguel, il tocco cristallino della chitarra di Aaron e l’ipnotico uso dei cori.
Esordio promettente, seppur non innovativo, l’album dei Burnt Pines troverà sicuramente molti estimatori tra i fan del folk-pop contemporaneo.
18/05/2021