Dieci anni sono passati dal timido esordio dell’allora diciassettenne Daniel McBride, un periodo di tempo che il musicista neozelandese ha colmato con la pubblicazione di “Egospect”, un album che ne ha svelato le peculiarità, conquistando un minimo di attenzione anche fuori dal paese d’origine.
Sassofonista di formazione classica, laureato in composizione all’università di Wellington, McBride con il progetto Sheep, Dog & Wolf offre un’interessante connessione tra musica organica e spirituale, coinvolgendo in questa sinergia creativa moderne elaborazioni alt-folk, geometrie ritmiche jazz, raffinatezze elettroniche ed evocative citazioni di minimalismo e neoclassica.
Il nuovo album del musicista è un puzzle liricamente e armonicamente policromo, ogni tassello è finemente definito, la musica, pur restando in un ambito sperimentale di non facile approccio, è profondamente empatica.
Elemento distintivo di “Two-Minds” è la particolare attenzione data al canto e all’utilizzo dei registri vocali, McBride cattura nello stesso tempo elementi swing, sacri e folk, al fine di esemplificare quelle distonie stilistiche ricorrenti nella scrittura e negli arrangiamenti: valga come riferimento la sfavillante natura mutaforma e dissonante della title track, un esemplare di dadaismo pop incantevole.
Gli incipit pianistici spesso sono oscuri al pari della giovane Tori Amos, a volte animate da un crescendo di fiati, archi e cori dalle tonalità soul-noir che evocano l’Antony Hegarty di “I’m A Bird Now”, il tutto cullato da note ondeggianti e fluttuanti (“Cyclical”).
“Chi sarei senza la mia ansia”, canta McBride, rimarcando le problematiche di salute mentale e fisica che hanno fornito ispirazione per “Two-Minds”, eppure, a dispetto delle premesse, le canzoni sono ricche di positive vibrazioni: gioia, libertà, energia e colore, sono le parole usate dall’autore per descrivere queste otto canzoni, otto metodologie per la guarigione dell’anima.
Estatici folk minimali che sembrano un incrocio tra Philip Glass e gli Yes più elegiaci (“Fine”), alterazioni jazz-prog, avant-folk (“Deep Crescents”) e accenni di fingerpicking che hanno la grazia cristallina di William Ackermann (“Cloud've”), si alternano e si incastrano con i temerari video concepiti per alcune delle tracce.
Daniel McBride distilla emozioni intense, a volte faticose, alterando poche note di blues per modellare un ipnotico mantra (“Months”) o fustigando le colte intuizioni di alcuni folksinger per mettere in scena candide confessioni sceneggiate con timide sonorità folk che si evolvono in liturgie goth (“Periphescence”), accompagnando l’ascoltatore in una dimensione sonora sospesa, dove melodramma e fantasia diventano un unico lessico, mentre piano e percussioni adulterate si cimentano in un ossessivo dialogo (”Feeling”).
Stupisce non poco che Daniel McBride sia l’unico artefice di “Two-Minds”: come novello Todd Rundgren, il musicista neozelandese ha scritto, elaborato e suonato in completa autonomia, o meglio autarchia, ogni frammento delle otto composizioni.
Forse “Two-Minds” non è l’album più originale dell’anno (pur se poco allineato), non credo che lo troveremo ai vertici delle classifiche del 2021 (fermo restando che tra un decennio non avrà perso un decimo del suo fascino), e non riesco a immaginare cosa ci riservi il musicista per il futuro, ma di una cosa sono sicuro: da tempo non ascoltavo un album divertente e stimolante come l’ultimo di Sheep, Dog & Wolf, anche se devo avvisarvi che tra inferno e paradiso preferisco divertirmi con il peccato, piuttosto che cullare le ansie con la monotonia della tranquillità.
06/06/2021