La storia della musica contemporanea è ricca di progetti che, partendo da posizioni a vario titolo “radicali” a livello sonoro, sono finiti con l'ammorbidirsi un album dopo l'altro per abbracciare un pubblico sempre più ampio e variegato. Una preoccupazione che non sembra frullare nella testa dei Suuns: anzi, i canadesi sembrano volersi estremizzare a ogni uscita un poco di più, e non è che siano partiti da posizioni particolarmente morbide.
“The Witness”, quinto lavoro della band di Montreal e primo Lp per Joyful Noise (era già uscito un Ep lo scorso anno), in qualche modo suggella e va a impersonare questo percorso apparentemente a ritroso. Nelle nuove tracce, talvolta lunghe nel minutaggio e dilatate nella sostanza, c'è - dietro il paravento di una apparente aridità formale - il cuore pulsante della musica dei Suuns. Che è una musica da sempre e per sua natura sperimentale, fatta di spigoli invisibili, di voci spersonalizzate, di fantasmi sintetici che si aggirano in una sorta di trance soffusa, sospesa. Quello dei canadesi è sempre stato un sound incastrato tra invisibili pareti di solitudine, e non è certo un caso che l'opera pensata e registrata durante l'epoca-Covid vada ad accentuare questa peculiarità. Del resto, se non c'è salvezza, se manca la redenzione, qua dentro non c'è nemmeno traccia di dannazione: è tutto sospeso in un limbo elettronico, un labirinto senza uscite. Una condizione nella quale, forse, un po' a tutti è capitato di trovarci nell'incertezza snervante dei lockdown.
Auto-registrate e auto-prodotte, le tracce di “The Witness” mancano – volutamente – degli spunti melodici dei precedenti album e, soprattutto, dei crescendo strumentali che spesso cambiavano la sorte dei brani, attestandosi eventualmente su impalcature che vanno man mano a ingrossarsi (“C-Thru”). Qui tutto è virato in tono minore, senza sussulti, e si basa più sull'incedere del beat che sulle sparute linee che vanno a colorarne gli spazi. Un beat che talvolta finisce persino col dissolversi e poi ritrovarsi, come nella sottile psichedelia di “Third Stream”.
Se “Timebender” abbozza persino una metrica funk, una componente melodica di pregevole fattura fa timidamente capolino in “Witness Protection”, forse la cosa più vicina a un singolo che si possa trovare in questa scaletta. La parabola di “The Fix” introduce un rumorismo che sa di industrial, “The Trilogy” abbozza traiettorie che potrebbero essere spaziali. Ma sono sensazioni, echi che rimbalzano come in uno spazio vuoto, senza materia e talvolta, come in questo caso, prive anche di gravità.
24/09/2021