L’anomalo e intrigante spiritual jazz del musicista inglese Angus Fairbairn, aka Alabaster DePlume, dopo la parentesi strumentale di “To Cy & Lee: Instrumentals Vol. 1”, ritrova la formulazione originaria in bilico tra poesia spoken-word e improvvisazione.
Senza rinunciare al proprio impegno di assistente sociale per persone affette da disabilità - Angus lavora per un’organizzazione inglese no-profit - il musicista ha elaborato un ambizioso progetto, il secondo per la International Anthem Co..
Registrato nell’estate del 2020 con ben cinque formazioni diverse, “Gold” è frutto di alcune jam-session effettuate nell’arco di sole due settimane, con i musicisti ignari sia delle partiture da eseguire sia dell’eventuale risultato delle performance. Le composizioni sono state eseguite e registrate più volte, spesso modificando l’assetto strumentale, passando da una coppia di chitarre a due batterie o due contrabbassi, stravolgendo regole e canoni dialettici.
Mettere a nudo le già astratte composizioni offre al musicista l’opportunità di elaborare l’album più vulnerabile e meno sprezzante della sua decennale carriera.
I diciannove capitoli di “Gold” sono scheletrici mantra dall’insolita natura (“The World Is Mine”, “I'm Good At Not Crying”), sagge e ariose melodie dal tratto volutamente modesto eppure profondo (“The Sound Of My Feet On This Earth Is A Song To Your Spirit”), nonché ricche di dettagli che ne sottolineano la toccante poetica.
Sono molti i segni distintivi di un’opera tanto solida e compatta quanto distonica: vibrazioni sonore sul filo del rasoio (“Visitors YT15 - Krupp Steel Condition Pivot”), improbabili tempi di bossa nova che infondono un momentaneo senso di delicata euforia armonica (“Who Is A Fool”), impreviste ballate folk dal fascino etereo e pastorale (“I'm Gonna Say Seven”), divagazioni dub-electronic (“Do You Know A Human Being When You See One?”) e flussi gospel dall’insolita natura antropologica (“Again”).
Le diciannove tracce sono in verità un unico sussurro, una delicata riflessione sulla fragilità umana (“Don't Forget You're Precious”), scandita con tempi lirici e armonici raramente irritabili (“People - What's The Difference”), insolitamente affini a una moderna fusion (“Fucking Let Them”, “Visitors YT15B - Jerusalem, Palestine”). Alabaster De Plume evita agilmente la retorica che spesso segue il canto/recitato (“I Will Not Be Safe”), incastrando uno dei puzzle più estatici della scena jazz contemporanea (“Broken Like”).
“Gold”, più che un album, è un incantesimo, un progetto che nonostante la natura mesta e descrittiva delle sonorità (“Now (Stars Are Lit)”) è alfine né facile né confortante, spesso inquieto e ansioso, a volte aulico, minimalista nei tratti sia sonori che verbali. Un disco che invita l’ascoltatore a una profonda introspezione, un tratteggio del dolore e della capacità lenitiva del suono, della musica (“Now (Pink Triangle, Blue Valley)”).
Progetto dall'ambiguo e algido fascino, il nuovo album di Alabaster De Plume si muove tra jazz classico e moderno, con un eclettismo che non si piega né alle logiche dell’improvvisazione né ai canoni degli elementi spuri di jazz, blues, gospel, funk, per un affresco sonoro di rara bellezza.
07/04/2022