Quell’audacia e quell’angoscia che Andrew Combs ha disseminato nei quattro album pubblicati tra il 2012 e il 2019, celandola tra eleganti e poetiche canzoni urban-folk, è ora emersa in superficie, contrassegnando a fuoco il nuovo disco “Sundays”.
Durante il forzato lockdown causato dalla pandemia, il cantautore di Nashville ha affrontato seri problemi psicologici che lo hanno destabilizzato e debilitato mentalmente e fisicamente, ragioni profonde del cambio di rotta stilistico che agita queste undici nuove canzoni. Oscurità e grigiore dominano, non solo nella foto di copertina che avvolge nel buio due immagini del volto del musicista, ma anche nelle tematiche dei testi. Amore e morte tracciano le fila, coinvolgendo in questa greve inquietudine anche le pregevoli intuizioni melodiche di Combs.
“Sundays” è un album rigoroso, minimale, non è un caso che il musicista americano abbia scelto la registrazione monofonica al fine di coglierne il respiro profondo e sofferto. Il supporto di Jordan Lehning e Dominic Billett in fase di produzione e arrangiamento, nonché quei rari momenti di luce e brio ritmico, non stemperano del tutto il tono plumbeo dell’album, ciò nonostante lo rendono più definito e variegato.
Nel raccontare questi ultimi anni dolorosi e psicologicamente devastanti, Combs trova il coraggio per uscire dall’aurea cerchia dei songwriter neo-folk: gli accordi nudi e aspri di “God(less)” che aprono l’album non lasciano alcun dubbio, è l’imperfezione la nuova fonte d’ispirazione del musicista americano, anche quando adagia una melodia pop dal taglio più classico, è percepibile un turbamento emotivo che odora di contemporaneità (“The Ship”).
L’immaginario poetico di Combs resta saldamente in prima fila, a partire dall’omaggio alla cinematografia di Ingmar Bergman nella densa e corposa “Anna Please”: un folk-soul che il musicista interpreta con tonalità androgine che graffiano l’anima, mentre il suono del di sax prende per mano ansie e sofferenze di un mondo femminile spesso incompreso.
E’ un percorso a ostacoli, quello tracciato da Combs: le canzoni sono costantemente preda del dubbio e della malinconia, con toni ora più intimi e confessionali (“Mark Of The Man”), ora più sensuali (“Truth And Love”), ma sempre densi e intensi al pari del John Martyn dei primi anni 80.
Il rock’n’soul di “Still Water” e la più “solare” melodia di “Adeline” aggiungono tensioni, emozioni e sfumature di colore, restando sempre fedeli a quel mix di gioia e sconforto che anima “Sundays” e che trova nella pagina conclusiva un profilo quasi drammatico e solenne (“Shall We Go”), appena sorretto dal suono di un harmonium e da un canto gospel-blues.
“Sundays” più che un grido sofferto è una testimonianza, un resoconto di quelle grigie domeniche passate tra le mura di casa o di un ospedale: Un disco non facile da amare, ma impossibile da ignorare. In questo ardente e coraggioso passo nell’oscurità, Andrew Combs ridefinisce margini e nuance sonore: la malinconica cantilena di “I See Me” difficilmente avrebbe trovato posto negli album passati, mentre il denso romanticismo soul-noir di “Drive To A Dream” sfiora l’intuizione perfetta per un potenziale singolo di successo, anche se è nel pulsante funky-pop alla Roxy Music di “Down Among The Dead“ che il cantautore americano trova l’alchimia tra oscurità e luce e lascia un segno deciso in questo già affollato e ricco 2022.
23/08/2022