Facilmente uno dei nomi più importanti dal punto di vista artistico del panorama cantautorale britannico degli ultimi decenni, Rachael Dadd presenta un nuovo disco che riporta le sonorità del precedente, ottimo "Flux", con la stessa verve e ampiezza. Se bisogna trovare degli elementi nuovi - non che Dadd ne abbia bisogno - forse l'impronta cameristica riveste un ruolo più netto, portando "Kaleidoscope" più vicino al grande "romanzo" americano del Sufjan Stevens di "Illinois" ("Join The Dots", "Footsteps").
Nello spirito, più che nello stile, dato che la musica di Rachael rimane fedele alla tradizione soprattutto britannica, con la gentile psichedelia di "Moon Sails" e "Children Of The Galaxy". I momenti migliori si hanno però quando l'arrangiamento e la scrittura si basano sul pianoforte, con brani che ondeggiano tra il folk jazzato (o viceversa) degli Snowpoet e gli ambienti subacquei di Robin Bacior ("Swift", "Ghost", "River Spirit").
La scrittura non rimane comunque mai imbrigliata in un archetipo, come è caratteristica di Dadd: bello anche l'obliquo motivo tra Fleetwood Mac e Kate Bush di "Heads Down", di grande suggestione la tessitura d'arrangiamento di "Ox". Rachael si cimenta anche in un più semplice ricamo invernale che ricorda la Alela Diane di "About Farewell" ("Winter Snow").
La cantautrice di Bristol si conferma insomma come una delle voci più originali e compiute della scena, con un repertorio ormai importante che aspetta solo il giusto riconoscimento.
05/11/2022