Fa un certo effetto per me andare a ripescare una conversazione intervenuta qualche anno fa sul Messenger di Facebook con Shawn Smith. A giudicare dalle foto e dai post che lasciava sui social non se la passava benissimo, non si vergognava di mostrare le difficoltà di un musicista rimasto ai margini, nonostante la straordinaria voce dotata di preziose inflessioni soul, un unicum all'interno della scena di Seattle. Shawn avrebbe meritato maggiore popolarità, anche se lui stesso non avrebbe apprezzato l'effetto trascinamento legato al fenomeno grunge. Ebbene, in quelle poche righe fissavamo la sua disponibilità a rilasciare un'intervista per OndaRock; seguirono pochi giorni più tardi una lunga sfilza di domande e curiosità ("they sounds cool", mi scrisse…) alle quali – immaginavo – Shawn avrebbe risposto più che volentieri. Trascorsero settimane ma, nonostante un paio di mie sollecitazioni, seguite puntualmente dalle sue rassicurazioni, le risposte in realtà non arrivarono mai. Arrivò invece, la mattina del 3 aprile del 2019, la disgraziata notizia della sua scomparsa.
I Brad furono il suo progetto più importante (insieme ai Satchel) e duraturo, nobilitato dalla presenza di Stone Gossard, membro fondatore dei Pearl Jam, e ancor prima di Green River, Mother Love Bone e Temple Of The Dog, una leggenda del Seattle Sound. Della partita furono anche il batterista Regan Hagar, già nei Malfunkshun accanto al compianto Andrew Wood, e il bassista Jeremy Toback, sostituito poi da Keith Lowe. Nell'arco di vent'anni il quartetto realizzò cinque album, tutti di buon livello, divenendo qualcosa di più che un side project.
Qualcuno ebbe anche l'occasione di vederli suonare in Italia, nel febbraio del 2013, grazie a due serate organizzate ai Magazzini Generali di Milano e al Viper di Firenze. L'improvvisa dipartita di Smith ha posto la parola fine all'esperienza Brad, ma da qualche mese i quattro musicisti stavano lavorando a nuovo materiale, completato dai tre superstiti – più alcuni contributi di Barrett Jones al piano e Hans Teuber a fiati e tastiere - utilizzando le linee vocali già registrate da Shawn. Dieci canzoni in tutto, che rappresentano il testamento della formazione americana, in forma strepitosa come ai tempi migliori.
C'è tanta energia, dentro "In The Moment That You're Born", disco che contiene alcuni fra i brani più energici mai incisi dal gruppo, a iniziare dalla proto-punk "Stars n You" (cover dei Malfunkshun, band seminale del circuito di Seattle negli anni Ottanta) per proseguire con l'appuntita "Hey Now What's The Problem".
La parte centrale del lavoro è la più morbida, con la doppietta "Meadow In Autumn"-"Take Me Back Home" dove il piano guadagna il centro della scena, come accade anche nella lunare ballad conclusiva "Simple Subtraction".
In certi frangenti di "I'm Diggin You" la voce di Smith si approssima a quella del primo Vedder, ma più che le ben note capacità vocali di Shawn (e una sezione ritmica impeccabile), a emergere è la chitarra di Stone Gossard: probabile che da anni non si divertisse tanto, e non si sentisse tanto protagonista nell'economia di un disco. Bastino le prime due tracce in scaletta (la title track e la successiva "Pieces Of The Sky In My Head") per percepire quanto determinante ed efficace sia il suo contributo.
A svettare con imperiosità è però "Straight To The Hoop", brano di grande perizia ed eleganza, fra i migliori mai composti dalla band, il midtempo che i Counting Crows continuano a sognare di scrivere. Un gran colpo, proprio al fotofinish, quando neppure il fan più integerrimo se lo poteva aspettare, a rendere ancor più pregiato quest'ultimo capitolo della storia.
03/08/2023