Nonostante un esordio pubblicato nel 2020 dalla Cloud Recording, solo ora il nome degli Immaterial Possession è entrato con decisione nella lista dei gruppi da seguire della nuova scena musicale americana.
La band di Athens, Georgia, è protagonista di una delle più enigmatiche formule sonore retrò degli ultimi tempi. Forti di un'estetica teatrale e dark, i quattro musicisti esibiscono inclinazioni folk e contaminazioni psichedeliche che vanno dai primi Pink Floyd a Donovan, fino ai Jefferson Airplane e ai Country Joe And The Fish ("Birth Of Queen Croaker").
Per l'eccentrica formazione americana si sono già mosse le agenzie di stampa, citando perfino richiami a Ennio Morricone e all'hauntology. In questa chiave si intravedono assonanze con i portoghesi Beautify Junkyards ("Current In The Room"), ma il pericolo è che a furia di aggiungere modelli stilistici e riferimenti temporali si rischi di confondere "Mercy Of The Crane Folk" con già noti e non proprio fortunati pastiche sonori.
Non è risolutivo parlare di folk psichedelico retrò (la title track) o di potenziali accenni dream-pop ("To The Fete"). A volte il tutto suona paradossale, raramente angosciante ("Ancient Mouth"), la musica degli Immaterial Possession resta volutamente nebulosa. Il secondo album dei ragazzi di Athens è un'autentica fiera delle illusioni. Cooper Holmes, Madeline Polites, John Spiegel e Kiran Fernandes sono dei giocolieri delle sette note, apparentemente innocenti e candidi, ma anche maliziosi e scaltri, abili nel giocare con un potente immaginario retrò senza restarne preda, anzi, geniali nella loro sontuosa estetica degli arrangiamenti - le arie orientali di "Cypress Receiver" e quelle ancora più magiche di "Red Curtain" - e vezzosi quanto basta per non farsi prendere troppo sul serio, come nell'accenno surf di "Siren's Tunnel".
Quel che contraddistingue "Mercy Of The Crane Folk" è un misto di arroganza e sberleffo ("Current In The Room"), che alla fine tradisce le origini della band. Sì, perché l'ultima rivoluzione proveniente da Athens rispondeva al nome di B-52's, e non è peregrino scorgere qualche affinità elettiva tra i due gruppi, egualmente estrosi e faceti, nonché attratti dal suono finto futurista di organi e strumenti acustici dal fascino senza tempo, come flauti e altri strumenti a fiato: da qui prendono vita le stranianti armonie pop di "Chain Breaker".
Il viaggio nel passato degli Immaterial Possession non è privo di ingenuità e qualche incertezza, ma ci sono abbastanza immaginazione e gaio slancio mistico per poter arrivare alla meta avvolti da un fascino malandrino che stuzzica e infine seduce.
13/05/2023