If the heart has a word
What would it be?
And sitting with this, i’ve found
That the word in the heart is YES
It’s YES
To everything
Queste sono le parole che Eline Vistven declama in “orð hjartans”, il brano che chiude “blómi” il nuovo album di Susanne Sundfør e non li si può certo definire versi espressi a caso: il cuore, il calore dei sentimenti, la profondità delle emozioni, le radici culturali provenienti dalla sua terra affascinante sono gli ingredienti principali che sorreggono il sesto lavoro in studio della talentuosa cantautrice e compositrice norvegese.
L’approccio ricalca essenzialmente il canovaccio già gustato nel precedente “Music For People In Trouble”, prevedendo alcune piccole variazioni sul tema che in seguito analizzeremo.
Per provare a localizzare un plausibile inserimento tra i variegati stili sfoderati da Susanne nel corso della sua carriera, questo nuovo progetto può provare a inserirsi tra l’omonimo esordio e il successivo “The Brothel” (2010), un misto tra folk contemporaneo e art-pop lontano dalle magnetiche svisate alternative ed elettropop che Susanne ci aveva regalato negli straordinari “The Silicon Veil” (2012) e “Ten Love Songs” (2015).
La sua voce cristallina, esemplare in ogni aspetto, modulata e rigorosa nelle scale più basse, limpida e imponente nei valori più acuti, volteggia nei dieci brani in scaletta come una vivace farfalla, tra suoni candidi eretti prettamente su pianoforte e chitarra classica.
In questo, la title track è l’esempio della raffinatezza che marca ogni cellula dell'album; note di pianoforte e svolazzi di sassofono riempiono l’atmosfera su un testo che l’artista dedica a sua figlia, quasi una lettera d’istruzioni che una mamma dona alla propria bambina, d’avviso sugli ostacoli del presente, ma rassicurante su ciò che proporrà il futuro. Il sistema matrilineare è un fondamento che sostiene l’intero lavoro di scrittura annunciato dalla Sundfør, un processo di antropologia sociale da sempre ben radicato nella storica cultura norvegese.
Episodi come “rūnā”, con intense e possenti parti corali utilizzate per corroborare considerazioni sulla rinascita dopo fasi di rovinoso dolore, il soul-jazz di “fare thee well”, il dolce misticismo di “alyosha”, con videoclip che riprende alcune scene dal suo matrimonio, e le oniriche tessiture di “nāttsǫngr” si sciolgono con dolcezza e purezza sconfinate, laddove la citata vocalità di Susanne afferra le redini della situazione con insuperabile maestria.
I titoli dei brani in scaletta sono tutti formulati in un’antica lingua norvegese, ma ciò non spaventi, perché i testi sono sviluppati nella più accessibile lingua inglese, ad eccezione di “sānnu yārru lī”, recitata in tedesco su tematiche che richiamano i sentimenti più sinceri legandoli ad alcune dinamiche che caratterizzano la coltivazione della terra. È un brano significativo, che si distanzia diametralmente da quasi tutti i restanti, per un particolare utilizzo delle percussioni e degli inserti elettronici a corredo, con flauti che spezzano progressivamente lo svolgimento, regalando un accattivante e visionario guado sul percorso. Ma non è il solo.
Anche i due brani che aprono e chiudono il disco, “orð vǫlu” e “orð hjartans”, come accennato in precedenza entrambi interpretati da Eline Vistven - musicista e soprattutto rinomata terapeuta – segnano una linea di demarcazione evidente con il resto della tracklist, con oscure trame elettroniche di fondo che soprattutto nell’episodio conclusivo, tra bordoni e sinistri intrecci elettronici, si allontanano in modo netto da tutta la ribalta restante. Se vogliamo anche “Ashera’s Song”, che riprende gli ancestrali temi materni richiamati poc'anzi, conserva nelle sue infingarde sonorità quell’alone tenebroso, ove la sontuosa voce di Susanne non fa altro che acuire le sensazioni di seducente e latente disagio.
La scelta di contaminare con fraseggi meno diretti e zuccherini la gran parte del registro cameristico utilizzato per la pubblicazione si lascia apprezzare notevolmente, ampliando un orizzonte stilistico che risulta più variegato rispetto all’album predecessore.
“blómi” - sbocciare, tradotto dall’antico norvegese - sovrappone aspetti inediti della vita di Susanne Sundfør. Il lavoro accademico di suo nonno Kjell Aartun (in copertina con la piccola nipotina), famoso teologo e filologo specializzato in lingue semitiche e tutte le esperienze che hanno modificato la sua esistenza, come quella dell’essere diventata mamma, sono alcune delle situazioni che hanno permesso la creazione di un arazzo pieno di sfaccettature, piuttosto diverso da qualsiasi cosa abbia pubblicato fino ad oggi, ma che richiama, a giuste dosi, buona parte delle caratteristiche che hanno contraddistinto le sue opere anteriori.
“blómi” è soprattutto un progetto che funge da antidoto contro le storture che dominano la cultura odierna, dimostrando a tutti che, con un po' di coraggio, si può concepire un altro modo di vedere la realtà.
12/12/2023