In Norvegia c'è un'intera generazione cresciuta imparando a memoria i dischi della famiglia Coltrane e dell'AACM di Chicago, facendosi poi le ossa nei mille progetti legati al talento incontenibile di Paal Nilssen-Love. Come Andreas Wildhagen, batterista classe 1988, che ha già suonato in una dozzina abbondante di progetti (tra i quali: Akmee, Andreas Røysum Ensemble, Extra Large Unit, Finity, Jon Rune Strøm Quintet, Jonas Cambien Trio, Lana Trio, Nakama, Orter Eparg, Paal Nilssen-Love Large Unit, Tobias Lindstad Collective) oltre a aver pubblicato un paio di dischi a suo nome: "No Right No Left" (Nakama, 2016) e "Troposgrafien" (Nakama, 2018), quest'ultimo in compagnia di Kasper Skullerud Værnes, sassofonista presente anche nel nuovo quartetto di Wilhagen, Spiralis.
A completare la formazione su "Beauty No Beauty" ci sono la pianista Anja Lauvdal (Eirik Hegdal Eklektisk Samband, Moskus, Skadedyr, Trondheim Jazz Orchestra) e il contrabbassista Adrian Myhr (Arrigo Cappelletti, Carlo Maria Nartoni, Johan Lindvall).
L'album si apre con un pattern groovadelico che manda subito in orbita il sassofono di Værnes ("Solar Activity"), capace di suonare come se stesse annunciando l'arrivo di un nuova era. Tutti i musicisti lo seguono come fosse un oracolo. L'improvvisazione è corale e mai strabordante. Sono appena quattro minuti e dieci secondi: quanto basta a far sintonizzare le antenne di chi ascolta.
Senza soluzione di continuità parte "Entropy", con i sintetizzatori della Lauvdal a donare un fascino lunare all'incedere lento e avvolgente del brano.
I temi delle nove improvvisazioni dell'album si susseguono in modo avvincente, alternando passaggi più veloci e ricchi di groove a ballate più descrittive e spirituali.
02/01/2025