Questa volta Conor Oberst e i suoi Bright Eyes non si sono fatti attendere tanto, come accadde con il precedente "Down In The Weed, Where Once The World Was" - arrivato dopo uno iato lungo ben nove anni. Ne sono trascorsi infatti solo quattro, segno di una ritrovata urgenza, comunque senza troppa fretta, certo.
La direzione intrapresa questa volta è quella di un ulteriore avvicinamento alla tradizione, mediante una avvincente rivisitazione in chiave indie del folk-rock americano. "Five Dices, All Threes" vede i Bright Eyes allontanarsi sempre di più dalle cacofonie dei loro primordi, quando erano estremamente vicini a progetti come Microphones e Mount Eerie, e addivenire sempre più limpidi e attigui, invece, ai Wilco così come agli ultimi Fleet Foxes. Al netto di qualche piccola increspatura rumorista, l'undicesimo disco della band di Omaha vede regnare il pianoforte, inserti d'archi e dolenti chitarre blues (davvero struggenti in "Tiny Suicides" e la confessionale "Hate").
Il pianoforte, romantico e incalzante, domina le varie "Bells & Whistles", "El Capitan", con uno splendido finale allietato da caldissimi ottoni, e soprattutto la sorprendente "Real Feel 105" - che culmina con il piano che si lancia in un crescendo senza gravità in compagnia del mandolino. Immagini commoventi, attimi di vita che scorrono nel cinematografo della memoria permeano, dense di una ritrovata positività, anche le pregevoli collaborazioni.
Cat Power spalleggia Conor Oberst in "All Threes" e le due voci sembrano nate per risuonare insieme; mentre "Rainbow Overpass" con Alex Orange Drink è il frammento più caotico e straniante dell'opera. Arrivata "The Time We Have Left", è tempo di indossare l'impermeabile e cantare shalalala sotto la pioggia con Matt Berninger, impensabilmente leggero e dinoccolato.
Un insospettabile ottimismo echeggia anche nel motivetto lieto e insistente il giusto di "Trains Still Run On Time", ennesima, riuscitissima canzone della collezione. Non poteva mancare, però, qualche bislaccheria, e così ecco "Spuns Out" decostruire alla maniera di Beck quanto assemblato fino al suo avvento, deformando la materia folk attraverso scratch ai piatti e disturbi elettronici.
Siamo lontanissimi dai tormenti e dalle invenzioni di dischi come "Fevers And Mirrors" o "I'm Wide Awake, It's Morning", ma "Five Dices, All Threes" indica che Conor Oberst abbia scelto la strada giusta per una maturità, certamente canonica e misurata, ma capace di sorprendere quanto basta ed emozionare come sempre.
25/09/2024