Hiroyuki Tanaka vive in Giappone e di mestiere fa l’agricoltore. Ma una volta tornato a casa, la sera dopo il lavoro, ama mettersi al computer per esercitare la passione di producer sotto il nome di Charles A.D., allacciandosi, pur di sbieco, a tutti quei dj e compositori che in Giappone dettano i canoni di house, ambient ed elettronica da decenni a questa parte. Ma c’è qualcosa d’immediatamente soave e innocente nella sua musica, un afflato descrittivo da paesaggista sonoro che sa impomatare il beat con rallentamenti downtempo e impressionistici bordoni psichedelici. La sua pagina Instagram, del resto, è un curioso mix tra bollettini delle semine e locandine di musica elettronica – ed è proprio qui, tra sedani e pianole, che “West Pontoon Bridge” salpa verso l'orizzonte.
Provate a immaginare una house zuppa di pioggia autunnale, sentori new age lasciati all’aria salmastra, robotici screzi techno coperti dalla fredda nebbiolina che si erge appena sopra il filo del mare: tra ritmiche delicatamente zompanti e ruminanti inserti naturalistici, “West Pontoon Bridge” è un altro ondivago viaggio firmato 100% Silk da affrontare nei momenti più quieti della giornata.
Il lavoro mostra comunque un’attenta sequenza ritmica, districandosi tra andamenti lenti e altri più spediti, in un continuo saliscendi per piedi e cervello – anche se certo è quasi impossibile immaginare un’idea di “ballo” per un album come questo. È dunque con le seghettate trame ritmiche di “Coming Winter” che l’ascolto inizia placido come un laghetto di carpe koi, lasciando ai synth il compito di addensarsi poco a poco come nubi all’orizzonte; così, quando la successiva “Night Park” attacca un oscuro brulicare alla Theo Parrish, si ha l’impressione di osservare bolle di schiuma acida ambient techno.
Che siano quindi i pensosi bassi di “Praise” e l’incantevole bagno sensoriale di “Dreaming Boy Swimming In The Ocean” e annesso “Ocean Floor”, o le eccitate trame solari di “From August” e “After The Rain”, Charles A.D ci serve continue versioni di una mare e monti sempre soffice e delicata. Su “Bump Into” ce lo immaginiamo dietro la console a intrattenere i propri amici al sabato sera, poi ancora in versione galante da cocktail lounge su “Like A Puppet”.
Invece, verso il finale, il disco plana dentro una “Deep Valley” puramente ambient, poi annuncia finalmente “End Of Winter” con delicate folate new age – viene proprio da pensare a "Glass Horizon" del collega Precipitation, lavoro ispirato da un soggiorno in un’altra località giapponese di mare nell’isola di Sado.
Certo, con sessantotto minuti totali di durata, “West Pontoon Bridge” è molto lungo, peccando forse di eccessiva ripetizione in certi frangenti, oltre a mostrarsi talvolta sin troppo muto e uniforme. Ma il fascino sta anche in questo lento naufragio dell’ordine e della ragione, nella capacità di far galleggiare atmosfere contrastanti come ambient e house con una stratificazione produttiva mai stridente, ma anzi sempre attenta alla suggestione. È come toccare fogliame cerato e terriccio molle, avvertire l’odore nell'aria di pesce e funghi, sinestesie primordiali tradotte in un curioso mondo digitale retro-futurista. Charles A.D., l’agricoltore col mixer nel fienile – come si fa a non volergli bene?
24/10/2024