Immaginate di ascoltare una versione a metà tra jazz e caraibica di Daniele Silvestri, magari sorseggiando un cocktail in camera vostra, fingendo che sia luglio inoltrato e infine di trovarvi possibilmente, sempre con la mente, s’intende, in qualche chalet ben fornito di Rio de Janeiro. "Piaggio”, la prima canzone di "Boxe", è tutto questo. O meglio, per essere ancora più chiari: una ventata fresca di tropicalismo e soft-funk della miglior specie, canzone italiana leggera (aggettivo da prendere con le pinze e da non banalizzar mai) e calore mediterraneo.
L’album d’esordio di Giargo, nome d’arte di Giorgio Michele Longo, foggiano classe '98, naturalizzato bolognese da otto anni, è una microfauna di inclinazioni carioca che mutano a seconda del testo. Un disco confezionato con classe, la cui missione specifica pare essere annotata sopra un taccuino che Giargo esibisce ai naviganti in ascolto, tra una nota e l’altra, un sospiro e una parlata amicale, con il sorriso smagliante di un conquistador che sta per approdare in Sudamerica: addolcire l’animo e il cuore di chi ascolta.
Per adempiere a questo compito sempre più raro nel panorama pop cantautorale contemporaneo, dove ormai si sprecano le lagne interiori e le istanze a gettoni, Giargo si avvale della fondamentale compagnia dei Baia Zaiana, band con cui arrangia e riarrangia i suoi brani e che lo accompagna nella formazione live.
Registrato, missato e masterizzato da Giovanni Roma, anche in collaborazione con lo studio Arte dei Rumori di Napoli, “Boxe” procede leggiadro tra fiati spiritati, variazioni fusion e un’allegria sincera, come traspare in “Crescere”, altra canzone in cui riaffiora il buon Silvestri da potenziale parallelo. Ma non solo. La canzone che dà il titolo all'album, ad esempio, è una ballata in scia Umiliani con Giargo che parla perlopiù a sé stesso, alla stregua di uno Jannacci in viaggio nel tempo, tra un “tutti i sabati sera vann accusì” e tastiere coloratissime da colonna sonora easy-listening di una pellicola italiana con sceneggiatura a cuoricino dei Settanta.
Giargo sembra mimetizzarsi tra le piante nello scatto di Edoardo Veneziani che campeggia in copertina, quasi come se puntasse a essere tutt’uno con la natura e le sue amabili sinfonie. L’assolo di tromba di “Basilico” è, del resto, un'ode alla quiete. Mentre il climax lunare e lunatico da Napoli Centrale assaporato in “Miracolo” aggiunge spezia alla ricetta eleborata dal musicista.
Napoli, appunto. La città di Partenope è faro per Longo. E “Dante” omaggia l’omonima celebre piazza napoletana e l’aria di festa che si respira anche nel traffico del capoluogo campano, eletto per l'occasione a spazio vitale e geografia di un amore lontano che suscita ancora tanta malinconia.
“Boxe” è un disco tanto suadente quanto raffinato. Un piccolo scrigno da aprire nei momenti di pace domestica. Ma anche in riva al mare, al tramonto, insomma ci siam capiti. Bene, brav(issim)o, bis.
03/01/2025