Hard Quartet

The Hard Quartet

2024 (Matador)
alt-rock, psych-folk

Credo sia alquanto inutile continuare a sperare in un nuovo album dei Pavement, fra l'altro il recente box-set "Cautionary Tales: Jukebox Classiques" - che raccoglie la collezione completa dei 7" da loro editi fra il 1989 e il 1999 - testimonia la bontà di un lascito che va ben oltre quanto incluso nei cinque album ufficiali. Abbiamo comunque avuto la possibilità di rivederli dal vivo su un palco nel lungo reunion tour concluso pochi giorni fa, un film concerto presentato lo scorso settembre in anteprima assoluta a Venezia ne celebra il percorso artistico, inoltre nel nuovo millennio abbiamo continuato a godere - a sprazzi - del talento compositivo di Stephen Malkmus, costantemente impegnato a produrre nuova musica a nome proprio o come membro di Crust Brothers, Jicks, Silver Jews, Von Spar, più svariate collaborazioni.

Ora è il momento degli Hard Quartet, non certo liquidabili in maniera semplicistica come l'ennesimo side project del solo Malkmus, vista l'importanza degli altri musicisti coinvolti. In questo caso, si tratta di un vero e proprio "supergruppo", pessimo vocabolo utilizzato per identificare l'unione sotto lo stesso tetto di artisti già più o meno noti agli appassionati. Come il nome della band suggerisce, vi troviamo altri tre protagonisti: Matt Sweeney (Chavez, Superwolf, Zwan), Emmett Kelly (Cairo Gang, Bonnie "Prince" Billy, Ty Segall) e Jim White (Dirty Three, Beings).
Una settimana chiusi in studio ed eccoli partire decisi col suono sporchissimo, davvero molto Sonic Youth, di "Chrome Mess", perfetto per introdurre le reali intenzioni del gruppo. Se siete alla ricerca di brani che possano risvegliare appetiti Pavement, qui troverete pane per i vostri denti, specie in occasione di "Earth Hater", "Thug Dinasty" e della più atmosferica "Hey" (dai, niente lacrimuccia, su), tutte recanti l'inconfondibile marchio di fabbrica di Stephen Malkmus, che con la propria chitarra lascia poi ovviamente traccia di sé praticamente ovunque.

Ma essendo in tre (su quattro) a scrivere (e a cantare), all'interno del disco si sviluppa un'interessante varietà, che emerge soprattutto in corrispondenza di un paio di rock ballad decisamente riuscite, opera di Sweeney: "Rio's Song" (dal piacevole taglio beatlesiano, con bellissimo videoclip-parodia di "Waiting For A Friend" degli Stones) e "Killed By Death". Nel giro di pochi minuti l'album spazia dall'attitudine punk di "Renegade" (che si ferma a due passi dai Sex Pistols, semmai fossero stati in grado di suonare tanto bene) ai puri accenti di "americana" (ma sempre piuttosto obliqua) espressi in "Heel Highway", dal soffio psych che aleggia intorno a "It Suits You" al folk cristallino di "Jacked Existence", fino al power-pop influenzato da melodie tipicamente sixties in "Our Hometown Boy" (il contributo di Emmett Kelly).

In verità la seconda metà del disco non riesce a tenere il passo della prima, con qualche lungaggine di troppo che si annida nei quasi sette minuti di "Six Deaf Rats" e nelle cangianti strutture simil-prog della trascurabile "Action For Military Boys". Ma va riconosciuto come "The Hard Quartet" contenga alcune delle canzoni più Pavement mai scritte da Malkmus dopo i Pavement, un'estetica riconoscibile e personalissima che il resto della band asseconda volentieri, con ognuno a ritagliarsi il giusto spazio per incidere con la propria personalità e il proprio background.

11/10/2024

Tracklist

  1. Chrome Mess
  2. Earth Hater
  3. Rio's Song
  4. Our Hometown Boy
  5. Renegade
  6. Heel Highway
  7. Killed By Death
  8. Hey
  9. It Suits You
  10. Six Deaf Rats
  11. Action For Military Boys
  12. Jacked Existence
  13. North Of The Border
  14. Thug Dinasty
  15. Gripping The Riptide






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