A solo un anno e mezzo di distanza dai vezzi acoustic di “Hello, Hi”, il prolifico Ty Segall è tornato in pista con il suo progetto solista, sfornando la sua quindicesima e lunga fatica “Three Bells”. L’opera riparte dalle sonorità di ispirazione psych-folk sperimentate precedentemente, qui con uno sguardo rivolto all’operato dei Neutral Milk Hotel, mescolandovi a piacimento una moltitudine di influenze di stampo rock progressivo, post-punk, jazz-rock, hard-rock e le immancabili sferzate garage-rock. Per quanto concerne le poche collaborazioni presenti, squadra che vince non si cambia: il polistrumentista californiano suona gran parte degli strumenti su disco, avvalendosi del supporto di Cooper Crain alla produzione e in alcune tracce del contributo dei fedelissimi Emmett Kelly (basso e chitarre), Mikal Cronin (basso), Charles Moothart (batteria), Ben Boye (tastiere) e Denée Segall.
Il golden boy di Laguna Beach cala immediatamente l’asso in prima mano: la sezione ritmica che scandisce l’intro folkeggiante dell’articolata “The Bell” prende forza poco a poco, si increspa contro i riff meccanici di chitarra e incorpora dettagli tipici del prog-rock armonico dei Genesis degli esordi e picchi garage in chiusura, attestandosi come uno dei migliori pezzi del lotto. Il prosieguo avviene su una scia concettuale affine, tra i crescendo psichedelici spinti dalle tastiere, dai fraseggi di chitarra e dai cori rétro di “Void”.
Ingranano gradualmente i guizzi elettrici sghembi di “I Hear”, che sfocia in rimandi stoner che fanno eco ai Queens Of The Stone Age, continuando sulla linea hard-rock con l’incedere ripetitivo e il basso prepotente di “Hi Dee Dee”, che scivola tra passaggi in direzione Cream e Beck, Bogert & Appice verso un finale che ha per protagonista un guitar-riff whitiano.
Cambia leggermente passo “My Best Friend”, che punta sull’accoppiata basso-batteria, adottando sonorità post-punk, mentre le progressioni malinconiche di “Reflections” aprono alla magnetica “Move”, dove a prendere la parola tra rullate e poliritmi è Denée, scontrandosi con una chiusura brusca.
La bizzarra “Eggman” ondeggia su riff e versi sbilenchi, dissolvendosi in una nuvola di rumore e cedendo il passo a “My Room”, trainata da toni fuzz e un acido assolo di chitarra in coda; ad essa fa seguito la pesante “Watcher”, che riprende il mix folk-progressive-garage. Alle prime avvisaglie di “Repetition” si potrebbe dire nomen omen, poiché da qui in avanti l’ultima manciata di brani (di natura più sperimentale) appare superflua e non sembra aggiungere notevoli colpi di scena all’opera, finendo solo per diluirla.
Si susseguono i soliti incastri ripetitivi all’interno di “To You”, che viaggia su chitarre acustiche e barlumi sintetici, i vezzi di memoria prog di “Wait”, conditi da nuvole elettriche e altre strizzatine d’occhio a Jack White in coda; gli esercizi di stile sulla vacua “Denée” e la chiusura acustica a due voci di rimando a “Hello, Hi”, “What Can We Do”.
Il percorso di un’ora e cinque minuti compiuto da Ty Segall all’interno di “Three Bells” effettua la sua partenza da un livello alto con momenti validi e ottime idee, sia in materia di sound sia di temi trattati, come l’amore, l’amicizia e la natura dell’io, perdendosi tuttavia in qualche pedanteria di troppo, soprattutto nell’ultima fase.
27/02/2024